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Dai banchi di scuola alle grandi aziende di Stato. C’è un metodo collaudato dietro alla caccia del governo cinese di know how tecnologico italiano. Il caso Alpi Aviation, l’azienda friulana produttrice di droni acquistata tre anni fa da due aziende statali cinesi “con modalità opache”, secondo un’inchiesta della Guardia di Finanza, ha suonato un campanello d’allarme. Quante sono le piccole e medie imprese italiane nel settore tech che hanno gli occhi della Cina addosso?

La domanda non è banale, dopo una pandemia che ha messo a nudo la fragilità delle catene di fornitura globali del comparto. Senza contare le pressioni degli Stati Uniti sugli alleati europei, Italia inclusa, per tagliare i ponti con le aziende tech cinesi sospettate di spionaggio dagli 007 americani. La vicenda Alpi aviation, ora sbarcata al Copasir, ha sollevato dubbi sugli strumenti a disposizione del governo per fermare lo shopping non gradito. Il golden power è stato molto rafforzato, ma interviene ex post, e spesso i buoi sono già scappati dalla stalla.

Un faro si è acceso anche dagli Usa, dove la storia dell’azienda friulana ha attirato l’attenzione degli addetti ai lavori. Ci sono altre modalità con cui la Cina di Xi Jinping fa “scouting” fra le eccellenze tech italiane, avvisa su Twitter Ryan Fedasiuk, analista del Cset (Center for Security and Emerging Technology), think tank della Georgetown University. Il caso Alpi, nota, “sfortunatamente non è una sorpresa”.

Esiste infatti un’istituzione dedicata, promossa dal governo italiano e da quello cinese, che ogni anno permette al Dragone di scoprire nuove aziende italiane all’avanguardia nel campo tecnologico. Si tratta del Consiglio Italia-Cina per il Trasferimento tecnologico (Ccitt), un centro che, spiega il sito ufficiale, promuove “le attività di internazionalizzazione dei sistemi di ricerca-impresa dell’asse Italia-Cina, le sinergie economiche e le collaborazioni in ambito di ricerca scientifica e tecnologica”. Partner del Miur e del ministero della Scienza e della Tecnologia cinese, collabora con l’Università di Bergamo e la Città della Scienza a Napoli e ha sede nelle due rispettive città.

Nomen omen: la missione del centro è favorire il “trasferimento” di competenze tecnologiche dall’Italia alla Cina, e viceversa. Dell’istituto non sono disponibili molte informazioni, e i profili social Twitter e Facebook sono dormienti da un paio d’anni. Si sa che il primo mattone è stato messo nel 2011 dal governo Berlusconi con la regia dell’allora ministro della Pa Renato Brunetta. Sua la firma su un memorandum con il ministro della Scienza cinese Wan Gang che prevedeva la costruzione di una filiale cinese dell’istituto, nella zona di Zhongguancun, a Pechino.

A promuoverne la nascita fu, in una visita di Stato a Roma l’anno precedente, l’ex premier della Cina Wen Jiabao. L’obiettivo, dichiarò all’epoca in un’intervista a MF Milano Finanza il primo direttore dell’istituto, Antonio Cianci, era creare “una piattaforma con cui la piccola e media impresa tecnologica italiana possa interagire con la grande impresa cinese, magari anche di Stato”. Da lì in poi il Ccitt è stato una presenza fissa di alcune kermesse cinesi come la “Settimana per la scienza, la tecnologia e l’innovazione fra Italia e Cina”.

Il modello del Ccitt. Report Cset

L’Italia è stato il primo Paese europeo a inaugurare il centro, e non a caso Pechino nominò come primo vicedirettore Huang Ping, a capo della “China international technology transfer center”, la rete internazionale del governo cinese che ormai conta decine di Paesi partner. Nel 2016 il taglio del nastro del governo Renzi con la ministra dell’Istruzione Stefania Giannini per il centro di Bergamo e quello di Napoli, in un evento che ha visto tra i relatori Ranieri Guerra, direttore vicario (dimissionario) dell’Oms.

Cinque anni, in politica, sono un’era geologica. E così oggi, nel pieno della Guerra Fredda tech fra Stati Uniti e Cina, a Washington si chiedono quale sia il ruolo di questo centro italo-cinese e se abbia una parte nello shopping di Pechino fra le start-up tecnologiche italiane. Il report del Cset non ha dubbi: il Ccitt è un tassello chiave della rete dei diplomatici cinesi “S&T” (Science and Technology), ovvero le feluche incaricate di “scovare” all’estero piccole e medie aziende del comparto tech e scientifico, dal biomedicale alle telecomunicazioni, che possano solleticare l’appetito delle aziende private e soprattutto dei gruppi cinesi partecipati dallo Stato.

“Acquistare tecnologia straniera è una missione centrale per la diplomazia pubblica e le campagne di influenza internazionale di Pechino”, si legge nel report. Il metodo è collaudato: i centri del governo cinese, incluso quello italiano, “organizzano eventi di matchmaking, dove gli investitori cinesi negoziano “testa a testa” con aziende straniere che vogliono entrare nel mercato cinese”.

La rete globale del China International Technology Transfer Center

Fin qui ordinaria amministrazione. Se non fosse che le compagnie attenzionate dalla Città Proibita operano tutte in settori strategici e con un potenziale impatto sulla sicurezza nazionale. Un grafico del China International Technology Transfer Center cita ad esempio alcune realtà italiane che collaborano con i centri a Bergamo e Napoli. È il caso di Sesto Sensor, che produce sensori a fibra ottica per applicazioni su elettrodotti e oil&gas, o di Elias, azienda napoletana specializzata nei sistemi di gestione ambientale e nella progettazione elettrica ed elettronica.

I settori nel mirino della diplomazia S&T cinese. Report Cset

Lo scouting cinese fra le aziende strategiche italiane non si manifesta solo al momento del “takeover”, come nel caso di Alpi aviation. C’è un’attività pregressa che serve a tracciare una mappa delle realtà più all’avanguardia e informare gli investitori a Pechino. Una mappa non casuale. Nel dataset di aziende analizzato dal Cset, il 25% opera nel settore biofarmaceutico e medicale, il 17% nell’Information Technology, il 12% nei materiali avanzati. “Tecnologie che si allineano agli obiettivi indicati nelle tre grandi  riforme di Xi:  Made in China 2025, Medium and Long Term Plan for Science and Technology Development (2006-2020) e Strategic Emerging Industries Strategy. A queste si aggiunge la “Digital Silk Road”, il braccio digitale della nuova Via della Seta cui l’Italia, primo Paese G7, ha aderito nel 2019.

Mentre la politica italiana discute di come alzare le difese dei settori strategici verso gli investimenti cinesi, un buon punto di partenza può essere guardare la luna e non il dito. Con un occhio di riguardo sulla caccia del governo e delle grandi compagnie cinesi ai gioielli dello Stivale.

Xi ha fatto centro. Faro Usa sullo shopping cinese in Italia

Il caso Alpi Aviation è la punta dell’iceberg. Prima di comprare le aziende strategiche italiane, il governo cinese fa scouting per scovare le eccellenze nel mondo tech e nella Sanità. Come? Fra Bergamo e Napoli c’è un istituto che ha attirato i riflettori degli analisti Usa. Ecco di cosa si tratta

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