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Tra i sostenitori-non-sostenitori dell’Iran che hanno preso una posizione sfumata riguardo alla crisi militare con gli  Usa — e Israele — c’è anche il Sudafrica. Da anni sostenitore del pieno diritto iraniano di costruire un programma nucleare civile, Pretoria ha relazioni di cooperazione con Teheran — per esempio permettendo attracco alle navi militari iraniane che si esercitano nell’Oceano Indiano, dimostrando volontà di espandere i propri confini di proiezione. Tuttavia, il Sudafrica — che ha apertamente lavorato anche per includere l’Iran nei Brics sin dal vertice ospitato nel 2023 — ha scelto una risposta particolarmente controllata al bombardamento statunitense dei siti nucleari iraniani, sollecitando un “dialogo” e una “risoluzione tranquilla” del conflitto.

Sfruttando il ruolo di presidenza del G20, Pretoria ha scelto “una dichiarazione sommessa”, per dirla come Nosmot Gbadamosi sul suo “Africa Brief”, in contrasto con la condanna totale emessa contro gli attacchi di Israele all’Iran. È una posizione che sottolinea le sfide diplomatiche che deve affrontare mentre gestisce le relazioni con un’amministrazione statunitense sempre più imprevedibile. Questo atto di bilanciamento può diventare più complicato solo se un cessate il fuoco Israele-Iran non dovesse reggere, evidenzia Gbadamosi. Un destino che il Sudafrica condivide in qualche modo con altri grandi attori come Cina e Russia.

Per contestualizzare: sei giorni dopo gli attacchi israeliani contro l’Iran, Xi Jinping e Vladimir Putin si sono parlati al telefono. Xi ha usato toni di altro profilo, affermando che il conflitto “dimostra ancora una volta che il mondo sta entrando in un nuovo periodo di trasformazione”. Ma quando Teheran ha chiesto aiuto, Pechino e Mosca sono rimaste in disparte. Entrambe hanno vari interessi in ballo che suggeriscono prudenza, nonostante la cooperazione con l’Iran sia sotto l’etichetta di “strategic partnership”. La Cina sta costruendo un complesso accordo commerciale (e non solo) con gli Usa, sul quale Donald Trump fa filtrare informazioni (forse per ora riservate) anche con l’obiettivo di alzare il barometro. La Russia similmente intende negoziare con Washington una vittoria in Ucraina — e forse ha addirittura aiutato Trump a raggiungere la tregua tra Israele e Iran, anche se l’americano nega e, alzando ancora la pressione, dice che da Putin non ha bisogno di aiuto con gli altri se non con se stesso.

Pretoria è in una condizione altrettanto complicata. Il 9 luglio scattano le tariffe trumpiane, con dazi che colpiranno per il 30% i prodotti sudafricani. Tanto per dare un numero di contesto: circa 125.000 posti di lavoro nell’industria automobilistica del Paese dipendono dalle esportazioni verso gli Stati Uniti. Pretoria sta cercando un accordo economico con Washington mentre il timer sta per scadere. Il Sudafrica è il più grande esportatore del continente negli Stati Uniti, gli Usa sono terzi (dopo Ue e Cina) tra i partner economici del Paese, che ha a lungo fatto affidamento sull’African Growth and Opportunity Act di Washington — un accordo commerciale preferenziale decennale che scadrà a settembre.

Ancora peggio della questione degli scambi, se possibile, è il danno di immagine che l’assenza di Trump dal vertice del G20 potrebbe provocare. Il presidente americano ha già detto di volerlo boicottare e ha ospitato il suo omologo Cyril Ramaphosa alla Casa Bianca in una delle più sensazionali imboscate della storia della diplomazia. Uno show creato con l’obiettivo di piegare il suo interlocutore alle sue volontà, che in sostanza ruotano attorno al bilanciamento commerciale e soprattutto allo sganciamento del Sudafrica dalla narrazione anti-americana — così da incassare ulteriori ritorni. Da notare che nei sette executive order firmati da Trump a febbraio per raffreddare i rapporti con il Sudafrica è citato che il Paese sta implementando “relazioni con l’Iran per sviluppare accordi commerciali, militari e nucleari”.

La situazione è complessa: Pretoria sa che perdere contatto totale con Washington può non essere conveniente, per questo cerca equilibrio. L’Iran è sacrificabile. La narrazione strategia confro Israele probabilmente no: ossia difficilmente il governo sudafricano deciderà di abbandonare l’iter della denuncia per “genocidio” avanzata nel 2023 contro lo Stato ebraico davanti alla Corte di giustizia internazionale. Quello è un elemento identificativo, che incontra diversi sentimenti all’interno del continente africano e in generale del Global South, di cui Pretoria vuole rendersi riferimento (anche sfruttando la presidenza del G20). Ma nel fare questo, la relazione con gli Usa non può essere distrutta.

Nel frattempo, altre relazioni si stanno facendo spazio. A marzo, l’Unione europea ha annunciato un investimento di 5,1 miliardi di dollari nell’energia verde e nella produzione di vaccini in Sudafrica in un vertice congiunto a Città del Capo. L’annuncio è arrivato poco dopo che Washington ha tagliato i finanziamenti agli aiuti esteri, minacciando la ricerca e il trattamento vitali per l’Hiv/Aids in Sudafrica. Per Bruxelles, il rischio legato a una rottura delle relazioni con Washington è che Pretoria scivoli del tutto nell’asse di cooperazione anti-occidentale, perdendo così un riferimento del dialogo africano — e la seconda economia del continente, prima per Pil pro capite.

Tra Iran e Usa, il Sudafrica sceglie il pragmatismo

Il Sudafrica mantiene una posizione ambigua tra cooperazione con l’Iran e necessità di non rompere con gli Stati Uniti, a cui è legato economicamente. Mentre sostiene Teheran in ambito Brics e nucleare civile, Pretoria adotta toni moderati sull’intervento americano per non compromettere i rapporti con Washington, in vista di cruciali scadenze commerciali. Bruxelles intanto rafforza la presenza, temendo una deriva sudafricana verso il blocco anti-occidentale

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