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Sepolto sotto una coltre di politically correct, il dibattito sul nucleare ogni tanto torna in superficie. Questa volta, a dieci anni dall’ultimo referendum abrogativo, è toccato al ministro-professore Roberto Cingolani riaprire il tema e non è un caso che le sue parole abbiano immediatamente rilanciato il tifo da stadio dei pro e dei contro. Il nostro Paese, infatti, ha ancora tanto da discutere sull’atomo e non ha mai del tutto archiviato il suo abbandono del 1987 e del 2011 post Fukushima. Pochi temi accendono gli animi come quello sul nucleare, coinvolgendo non solo gli addetti ai lavori ma anche opinion leader e istituzioni lontane dall’energia. Basta leggere l’immediato intervento dei vescovi della Cei.

L’eruzione mediatica sulle centrali nucleari del futuro è deflagrata a pochi giorni dall’avvio del Seminario Nazionale per l’individuazione dell’area in cui nascerà il Deposito Nazionale dei rifiuti radioattivi. Il Seminario, il primo in assoluto, che si è svolto martedì, a cura di Sogin (la società pubblica del decomissioning) ha rappresentato infatti un primo passo verso la definizione di un percorso che permetterà di ottimizzare la gestione di questo tipo di rifiuti, promuovendo un centro di stoccaggio e ricerca che genererà benefici miliardari e duraturi al territorio al territorio che lo ospiterà. La scelta di realizzare un Seminario è legata alla consapevolezza secondo cui è l’implementazione di un dibattito pubblico maturo a tracciare la differenza tra “fare” e “non fare” un’infrastruttura in Italia. Un progetto nazionale non verrà mai alla luce se non verrà prima coinvolto il territorio e consolidato un confronto trasparente e inclusivo con tutti gli stakeholder.

Il nostro Paese ha un gap culturale importante da colmare in tema di débat public. Il più delle volte è più forte l’urgenza di posare la prima pietra che quella di ascoltare la comunità locale, misurando il potenziale conflitto per governarlo con un dialogo non formale. L’eccezione alla regola è arrivata solo di recente con il progetto della nuova diga foranea di Genova il cui successo è legato anche alla volontà della stessa Autorità portuale di coinvolgere il territorio attraverso una “pre Conferenza dei Servizi” in cui sono stati definiti gli obiettivi e un percorso in maniera condivisa.

Tornando alle tante sfumature del dibattito sul nucleare, l’ultima polemica ha fatto riemergere conflitti ormai considerati anacronistici come quelli che vedono contrapporre i nuclearisti (descritti come oppositori delle rinnovabili) agli ambientalisti oltranzisti (descritti tra l’altro come radical chic). Etichette legate alle dichiarazioni fatte da Cingolani possibilista nei confronti del nuovo nucleare descrivendolo come una tecnologia da valutare per il futuro. Un discorso coerente se a pronunciarlo fosse stato il Cingolani Direttore scientifico dell’Istituto italiano di tecnologia e non il Cingolani Ministro della Transizione Ecologica. Le parole sono importanti, ma ancora più importante è chi le pronuncia. E nel caso di un Ministro alle parole dovrebbero seguire fatti e non chiarimenti.

L’episodio è emblematico del paradosso che investe il tema almeno nell’ultimo decennio: la contrapposizione tra due fonti di energia – il nucleare e le rinnovabili – che non emettono CO2. Una guerra tra tecnologie “non climalteranti” e pertanto necessarie alla decarbonizzazione. Basta infatti alzare lo sguardo un po’ più in alto, ripensare al leitmotiv europeo lanciato da Ursula von der Leyen e ai drammatici scenari del rapporto dell’Ipcc, per ricordare che la transizione ecologica ha problemi di diversa natura e diverso colore. La priorità è quindi implementare un confronto tecnologico ampio – includendo anche il nuovo nucleare – e promuovere una maggiore consapevolezza scientifica.

L’Italia è leader europeo e mondiale nei processi di decarbonizzazione: abbiamo raggiunto i target 2020 delle rinnovabili con 5 anni di anticipo (ad un costo certamente alto per le bollette dei consumatori) e le nostre imprese risultano tra le più efficienti al mondo. Guardando agli obiettivi del Green Deal, il nostro Paese potrebbe avere l’esigenza di uniformarsi agli obiettivi europei e quindi ridurre le emissioni di CO2 di almeno il 55% entro il 2030 rispetto al 1990. Sia il Pniec, Piano di riferimento della politica energetica del nostro Paese, sia il Pnrr, intravedono nello sviluppo delle rinnovabili e dell’idrogeno, nell’incremento dell’efficienza energetica e nella diffusione della mobilità elettrica, l’ABC della transizione verde.

Davanti a questi nuovi obiettivi, particolarmente sfidanti, il nostro Paese è ancorato ai blocchi di partenza. Lo stesso Ministro Cingolani ha dichiarato che si dovrà decuplicare l’installato delle fonti verdi. Oggi, infatti, riusciamo a realizzare meno di un decimo degli impianti rinnovabili richiesti per centrare gli obiettivi europei, soprattutto per l’altra contraddizione che penalizza il settore: il confronto tra tutela del paesaggio e la costruzione di impianti eolici e fotovoltaici. Al grande problema autorizzativo, che non risparmia nessun settore e che sembra accanirsi contro le rinnovabili, si unisce però quello tecnologico: finché non ci saranno batterie capaci di immagazzinare le fonti rinnovabili – in gran parte intermittenti – dovremo utilizzare altre tecnologie.

Che il dibattito tecnologico non sia ancora maturo lo dimostra il fatto che mentre siamo tutti d’accordo nel riconoscere che la transizione energetica passerà per le rinnovabili, non riusciamo ad andare oltre e decidere su quali altre tecnologie puntare. Nascono, così, le contrapposizioni barocche di questi giorni: pessimisti/nemici della transizione contro sognatori verdi. La questione è ancora più complessa e, come riporta prontamente Chicco Testa, se il nucleare cerca nuove strade, opporsi a prescindere è sbagliato. A maggior ragione se, con una certa onestà intellettuale, ammettiamo che anche ipotizzando una forte accelerazione delle tecnologie attuali non riusciremo a raggiungere l’obiettivo europeo di lungo periodo e cioè la neutralità climatica al 2050.

La miopia tecnologica, e non solo nel campo energetico, è il vero nemico della transizione ecologica. In questo senso sono convinto che il nuovo nucleare sia inevitabile così come lo è l’avvio di un dibattito pubblico maturo in cui venga raggiunta una posizione ragionevole che superi la dicotomia tra ambientalismo e industrialismo. L’obiettivo finale è anche il nostro punto di partenza: saper sfruttare tutte le tecnologie disponibili per raggiungere gli obiettivi europei.

Il dibattito sul nucleare serve alla transizione ecologica. Scrive Comin

Le reazioni alle frasi del ministro Cingolani dimostrano che il dialogo tecnologico non è ancora maturo. Mentre siamo tutti d’accordo nel riconoscere che la transizione energetica passerà per le rinnovabili, non riusciamo ad andare oltre e decidere su quali altre tecnologie puntare. Nascono così le contrapposizioni barocche di questi giorni: pessimisti/nemici della transizione contro sognatori verdi. Ma ora serve un approccio maturo

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