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Il ministro della Difesa russo, Sergei Shoigu, ha ammesso pubblicamente che i Talebani controllano le aree afghane al confine con Tagikistan e Uzbekistan, ed è questa la ragione dietro alle esercitazioni congiunte che la Russia ha organizzato con i i due Paesi. Una forma di rassicurazione e coordinamento davanti all’innesco di una problematica securitaria regionale legata all’avanzata dirompente del gruppo ribelle jihadista.

Il Washington Post ha pubblicato un’informazione ricevuta dall’intelligence militare statunitense secondo cui Kabul, la capitale, potrebbe essere accerchiata entro un mese e cadere nei prossimi novanta giorni. Sarebbe la debacle definitiva, gli insorti del fu Mullah Omar che riprendono il controllo dell’intero Paese a vent’anni esatti dall’entrata in guerra degli Stati Uniti, che poi mossero la Nato per punire i Talebani che avevano fatto da base ad al Qaeda responsabile del 9/11. Mentre si scrive questo articolo, arriva la notizia della caduta di Ghazni, sulla strada per Kabul. Che l’esercito afghano non riuscirà a reggere l’offensiva è noto da tempo. Anche per questo gli Stati Uniti hanno intensificato i raid aerei; per non far sembrare l’uscita dal paese un abbandono.

Il presidente Ashraf Ghani ha offerto una forma di condivisioni dei poteri ai ribelli pur di non perderne del tutto. E nel frattempo, lui stesso si sta spedendo personalmente con i signori della guerra locali come l’uzbeko Rashid Dostum (già accusato di crimini di guerra) e il tagiko Mohammad Noor per cercare aiuto tra i gruppi etnici – sintomo di come lo stesso capo dello Stato sia consapevole della debolezza del suo esercito. A Herat la “resistenza diffusa” di cui su queste colonne ha parlato Claudio Bertolotti (Ispi) si lega ai mujaheddin di Ismail Khan.

L’attenzione internazionale è altissima, la Russia — con la Cina — è tra i Paesi più attivi. C’è il ricorso storico (che i media pro-Cremlino hanno messo sotto revisionismo), c’è l’interesse a sfruttare il momento della ritirata occidentale dal Paese (coinciso con l’avanzata dei ribelli) a proprio vantaggio e per proprio interesse. Mosca critica la ventennale missione a guida americana e la “precipitosa” attesa (parola scelta sia da Shoigu che dal collega agli Esteri, Sergei Lavrov), ed è anche un metodo per attaccare il modello occidentale di costruzione della democrazia. Il Cremlino ha facilitato la riunione della cosiddetta troika afghana allargata – Russia, Pakistan, Cina, Stati Uniti e delegazioni afghane – a Doha.

La possibilità di espandere la propria impronta nell’Asia Centrale, cercando contemporaneamente di controllare le dinamiche afghane anche nell’ottica del terrorismo (l’aumento del caos nel Paese potrebbe facilitare l’espansione del locale Stato islamico nel Khorosan), sono interessi attivi per diversi Paesi. Tra questi per esempio l’Iran. I Talebani hanno conquistato nelle scorse settimane il valico di Islam Qala, porta verso la Repubblica islamica da cui sono fuggiti alcuni soldati afghani per evitare di essere giusti azioni dagli insorti. Gli iraniani stanno monitorando la situazione: mercoledì 11 agosto in un canale Telegram del gruppo jihadista afghano sono state mostrate le immagini di un piccolo drone da intelligence iraniano che i Talebani rivendicano di aver abbattuto.

I russi vorrebbero coinvolgere l’Iran nella questione afghana, ma gli Stati Uniti stanno spingendo per tenerlo fuori. Anche per questo alla riunione della troika non è stata presente Teheran, ma nemmeno l’India, volontà russa perché la presenza di Nuova Delhi avrebbe dovuto portarsi dietro anche quella di Teheran. A Doha, giovedì 12 agosto, sarà invece ospitata una conferenza regionale di emergenza, dove Paesi indiani, iraniani, indonesiani e soprattutto turchi avranno voce in capitolo. La Turchia è un altro grande attore: col ritiro occidentale, i militari di Ankara – membro Nato – sono destinati ad acquisire un ruolo superiore nel Paese. Ruolo che i turchi intendono giocare anche secondo gli interessi geopolitici proiettati in Eurasia.

Il governo afghano sta perdendo moltissimi ricavi dall’avanzata talebana: i ribelli, controllando i valici di confine, possono infatti chiedere dazi di passaggio al posto delle autorità. La Turchia vorrebbe usare la situazione sia per sostituirsi come vettore securitario, sia per implementare le relazioni econmico-commerciali nella regione. Se per la missione di sicurezza c’è in ballottaggio la possibilità di usare l’Ungheria come partner aereo, per quanto riguarda il quadro politico allargato non c’è dubbio che la scelta di Ankara ricada sul Pakistan. Mentre Islamabad è impegnata a difendersi dalle accuse (annose) di aver facilitato la lotta talebana, il ministro della Difesa turco, Alusi Hakar, ha fatto visita ieri nella capitale del Pakistan per allineare le posizioni in vista della conferenza di Doha e delle evoluzioni successive.

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