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Oggi e domani il presidente francese Emanuel Macron sarà in visita ufficiale a Roma per firmare con il presidente del Consiglio Mario Draghi l’accordo di cooperazione bilaterale rafforzata tra Italia e Francia, il cosiddetto Trattato del Quirinale.

Per Macron l’obiettivo è piuttosto chiaro. Nell’ultimo decennio il tradizionale asse Parigi-Berlino ha visto la Francia indebolirsi e la Germania rafforzarsi, soprattutto sul piano economico e finanziario. Stabilire un relazione privilegiata con l’Italia può consentire alla Francia di agire su più piani: in questo modo, controbilanciare il peso di Berlino e rafforzare il peso negoziale di Parigi nell’arena politica dell’Unione europea e dell’Eurozona.

L’Italia per decenni ha sofferto moltissimo per la diarchia franco-tedesca. Anche per il nostro Paese il vantaggio – almeno in teoria – è evidente. Possiamo disporre di un canale in più per promuovere i nostri interessi e le nostre idee. Ho precisato “in teoria” perché raramente la politica italiana riesce a elaborare una visione unitaria dei propri interessi nazionali e delle proprie proposte politiche in sede europea e internazionale.

Avere le idee chiare e agire compatti è la condizione sine qua non per farsi valere e non subire passivamente le posizioni degli altri partner europei, Francia in primis. Questo è il punto essenziale. In ogni caso – per non lasciare Parigi in una posizione privilegiata – la diplomazia italiana dovrebbe anche impegnarsi per raggiungere un accordo analogo con Berlino nell’interesse reciproco.

Ma come vanno le cose in Francia? In questi giorni arrivano purtroppo notizie allarmanti per quanto riguarda la pandemia; molto meglio si presenta la situazione economica. In un recente rapporto, l’Ocse ha sottolineato il buon recupero della Francia per quanto riguarda l’andamento del prodotto interno lordo 2021 e un risultato analogo è previsto per il 2022 (Covid-19 permettendo). Ma sempre l’Ocse mette in rilievo due rischi che potrebbero creare grossi problemi all’economia francese : l’eccesso (tendenzialmente insostenibile) della spesa pubblica, la più alta in Europa; i ritardi e le incertezze strategiche sul fronte digitale.

A pochi mesi dalle elezioni presidenziali non è ragionevole aspettarsi mutamenti significativi nella spesa pubblica della Francia, ma sul secondo aspetto (la politica digitale) l’Italia dovrebbe accendere i riflettori su temi di natura strategica che peraltro interessano, come vedremo, anche l’opinione pubblica francese.

Nelle società digitali in cui viviamo le infrastrutture tecnologiche sono fondamentali. Da più di un mese Marsiglia – oltre a essere il secondo porto del Mediterraneo – è diventata la stazione di arrivo in Europa della nuove dorsali di cavi che dal 2022 collegheranno Cina, Asia, Africa, Mediterraneo e Europa.

Il programma si chiama Peace ed è varato da due colossi cinesi del comparto digitale, Hengtong e Pccw. Il 19 ottobre scorso, in occasione del completamento della stazione, Jean-Luc Vuillemin, vicepresidente esecutivo di Orange, ha sottolineato l’importanza strategica dell’opera sottolineando in particolare il suo rilievo nelle relazioni con l’Africa e con l’Asia. Tra la Cina e la Francia, il collegamento avrà nodi con Pakistan, Iran, Tanzania, Somalia, Kenya, Etiopia, Djibuti ed Egitto.

La dottrina militare e la disciplina delle relazioni internazionali definiscono le infrastrutture di cui stiamo parlando come dimensioni multi dominio. Ricordo ai lettori che la definizione di cyberspace come quinto dominio in voga sino a poco tempo è superata.

Ma quali sono le implicazioni strategiche? Marsiglia è diventata un hub rilevante di due segmenti della Via della Seta: quella digitale e quella marittima. Non dobbiamo sopravvalutare l’importanza della scelta compiuta, ma essa ha certamente un qualche significato geopolitico.

Sorgono pertanto numerose domande. È questo il tipo di autonomia strategica dell’Europa che la Francia persegue? Qual è l’impatto con le infrastrutture digitali sottomarine (di interesse nazionale per l’Italia) gestite da Sparkle, società del gruppo Tim, di cui peraltro i francesi di Vivendi detengono la più rilevante quota azionaria? Questa collaborazione sino-francese si concilia con la strategia di difesa marittima e cyber adottata recentemente dalla Nato?

In Francia gli ultimi sondaggi indicano che la percezione dei cittadini nei confronti della Cina è notevolmente peggiorata (le risposte negative sono passate dal 55% del 2001 al 70% del 2020). Anche la preoccupazione per il ruolo internazionale della Cina è passata dal 48% del 2018 al 67%.

È opinione diffusa che la visione dei francesi nei confronti della Cina sia peggiorata negli ultimi tre anni anche in relazione alla pandemia. Sulle crisi di Hong Kong e dello Xinjiang non ci sono state reazioni ufficiali del governo francese, ma alcuni deputati all’Assemblea nazionale e alcuni europarlamentari francesi si sono mossi per contrastare la violazione delle libertà civili e dei diritti fondamentali suscitando una notevole attenzione nei media e nell’opinione pubblica francese. È possibile che la posizione da assumere nei confronti della Cina entri nell’agenda delle presidenziali francesi previste nella prossima primavera.

In ogni caso è un tema che l’attuazione del trattato bilaterale tra Francia e Italia non può eludere. Tra i molteplici tavoli di lavoro che si riuniranno nei prossimi anni a Roma e a Parigi sarebbe auspicabile crearne uno ad hoc allo scopo di delineare quali sono i campi di cooperazione e quali le aree di competizione con la Cina. Per salvaguardare la libertà e lo stato di diritto serve collaborazione tra tutte le democrazie del mondo. Italia e Francia possono dare l’esempio.

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