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I Balcani occidentali sono storicamente complessi e articolati da leggere e interpretare, una questione che affonda le sue radici in parte anche nelle molteplici influenze che hanno interessato la regione.

A partire dall’Impero bizantino, passando per la dominazione ottomana e l’egemonia austro-ungarica (solo per nominarne alcune) fino ad arrivare ai giorni nostri, l’area è da secoli un caleidoscopio non solo di tradizioni e culture, ma anche di dispute regionali e interessi stranieri.

Proprio di attori esterni, del loro ruolo, e del processo di integrazione euro-atlantica dei Balcani e del Mar Nero si discuterà approfonditamente, alla presenza di esperti di calibro internazionale, durante la conferenza della organizzata dalla Nato Foundation “Black Sea and Balkan Perspectives. A strategic region”, che si terrà il prossimo 28 luglio a Roma.

Ma quali sono i principali attori sulla scena internazionale che cercano di accrescere la loro influenza nei Balcani Occidentali attraverso mezzi economici, diplomatici e di informazione?

In primis, impossibile non menzionare la Cina. Ottenuto lo status di grande potenza, negli ultimi anni il Dragone si è mosso in maniera assertiva sulla scena internazionale, portando avanti i suoi interessi economici e, di pari passo, le sue attività di public diplomacy anche nella penisola balcanica.

Non è un caso che di recente, al netto di quasi 15 miliardi di dollari di investimenti cinesi confluiti nei Balcani occidentali tra il 2005 e il 2019, le attività di informazione di Pechino nel panorama mediale della regione si siano intensificate in diversi modi: allargando le attività delle proprie news agency (come la Xinhua News Agency o China Radio International), sottoscrivendo accordi bilaterali per la diffusione di contenuti pro-Cina in diversi Paesi dell’area, inviando i propri giornalisti per una permanenza a medio-lungo termine. Come dimostrato dall’assertività cinese allo scoppio della pandemia, l’obiettivo primario rimane quello di porsi come attore benevolo e interlocutore privilegiato nell’area, a scapito principalmente delle grandi democrazie occidentali e delle istituzioni euro-atlantiche.

E chi di queste retoriche anti-Occidente ne fa pane per i suoi denti è sicuramente il Cremlino. Negli ultimi anni, la Russia ha dimostrato più volte la sua volontà e le capacità di interferire nello spazio informativo della regione. La presenza dell’agenzia governativa Sputnik News (nella sua variante Sputnik Serbia) e di altri media finanziati da Mosca (Russia Beyond e NewsFront tra gli altri), unita alle peculiarità culturali e linguistiche dell’area, rappresentano la perfetta rampa di lancio per le attività di disinformazione filorusse.

Partendo dalla Serbia e facilitata dai canali digitali, l’informazione originata in lingua serba dai media pro-Cremlino si espande tra Belgrado, il Montenegro e la Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina. Un flusso di narrative (e potenzialmente di disinformazione) che non conosce frontiere, in una zona che accoglie un totale di quasi 9 milioni di persone.

Le retoriche allineate con gli interessi strategici di Mosca si sono ulteriormente irrobustite durante la pandemia. La risposta tardiva dell’Unione Europea alla crisi sanitaria ha dato nuova linfa alle narrazioni avverse al processo di allargamento dell’UE, colpevole di essersi indebolita a causa delle sue presunte divisioni interne.

La NATO e gli Stati Uniti sono stati indicati come attori ostili per i Balcani, mentre veniva portata avanti una decisa attività di promozione della superiorità del vaccino russo rispetto a quello occidentale. Parallelamente, i media filorussi provavano a ravvivare tensioni etniche, dispute irrisolte e contese regionali mai veramente sopite.

Proprio il Covid-19 e la gestione della crisi sanitaria possono servire da spunto alle istituzioni euro-atlantiche per sviluppare un approccio più propositivo nel far fronte alle retoriche anti-Occidente. Da più di vent’anni, la Nato con la missione Kfor contribuisce attivamente alla sicurezza dei Balcani occidentali, dove può contare anche su tre Paesi alleati.

In termini economici, l’Unione Europea è ad oggi il maggior finanziatore e donatore nella regione. Dall’inizio della pandemia, l’Ue ha stanziato 3,3 miliardi di euro per l’area, ma questo ingente pacchetto di aiuti ha avuto una risonanza mediatica piuttosto limitata.

Per evitare che gli attori esterni sfruttino questi vuoti comunicativi, sono necessarie robuste, continue e capillari campagne di informazione sulle iniziative e gli aspetti concreti della presenza Ue e Nato nell’area, declinando e differenziando il messaggio in relazione al contesto e alla target audience. In aggiunta, promuovere e lavorare a fianco di agenzie stampa e media indipendenti nell’area assicurerebbe una visibilità maggiore alle due istituzioni, garantendo lo sviluppo di un ecosistema mediale plurale e equilibrato su scala locale.

 

Federico Berger

Press & Media Officer e Disinformation Analyst presso la NATO Defense College Foundation. Membro del programma di training Digital Sherlocks del DFRLab dell’Atlantic Council, Washington DC.

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