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A pochi giorni dall’incontro virtuale con Xi Jinping in agenda lunedì, Joe Biden ha ordinato un’ulteriore stretta su Huawei e Zte, aziende cinesi attive nel mercato del 5G accusate dall’intelligence americana di spionaggio per conto del governo cinese (accuse che entrambe respingono).

Con poche righe, e con un ringraziamento a quattro membri del Congresso tra cui il falco repubblicano anti Cina Marco Rubio, il presidente statunitense Joe Biden ha messo la firma sul Secure Equipment Act of 2021, una legge di iniziativa bipartisan “che richiede alla Federal Communications Commission di adottare regole che chiariscano che non esaminerà e approverà più alcuna domanda di autorizzazione per apparecchiature che presentano un rischio insostenibile per la sicurezza nazionale”, come recita la nota della Casa Bianca.

Nelle scorse settimane la legge era stata approvata all’unanimità dal Senato e con 420 voti favorevoli e soltanto quattro contrari alla Camera. Dopo l’approvazione in Senato, il membro della Fcc Brendan Carr aveva sottolineato come la legge aiuterà “a garantire che le forniture non affidabili di aziende come Huawei, Zte e altre società cinesi finanziate dallo Stato [cinese] non possano più essere inserite nelle infrastrutture di comunicazione dell’America”. Inoltre, la legge assicura che la Fcc “chiuda la scappatoia usata oggi da Huawei e da altre aziende sulla Covered List”. Era stato lo stesso Carr a evidenziare – probabilmente a denunciare – come la Fcc abbia approvato più di 3.000 richieste di Huawei dal 2018 (ad agosto di quell’anno era stato imposto al personale di tutte le agenzie governative di non utilizzare dispositivi prodotti da Huawei e Zte).

La Fcc guidata da Jessica Rosenworcel si conferma così il primo scudo statunitense con le aziende cinesi. Come raccontato da Formiche.net, infatti, da questa commissione dipende l’attuazione del “Rip and Replace Bill”, la legge approvata da una maggioranza bipartisan al Congresso che con un sistema di sussidi statali propone di smontare (rip) e rimpiazzare (replace) l’equipaggiamento di Huawei con quello di fornitori considerati affidabili.

A marzo la Fcc ha bollato cinque aziende cinesi come minaccia alla sicurezza nazionale. Si tratta di Huawei, Zte, Dahua (i cui termoscanner sono stati acquistati per Palazzo Chigi durante il mandato di Giuseppe Conte), Hytera e Hikvision (le cui telecamere sono state installate in 134 Procure italiane, come rivelato da Wired). A giugno, invece, ha votato all’unanimità un piano per vietare le approvazioni da quelle aziende cinesi, parallelo a quello del Congresso. Un voto, quello, che aveva attirato le ire del governo cinese, con il portavoce del ministro degli Esteri Zhao Lijian che ha accusato gli Stati Uniti, “senza alcuna prova”, di continuare “ad abusare della sicurezza nazionale e del potere statale per colpire le aziende cinesi”. Due settimane fa, invece, ha revocato l’autorizzazione a China Telecom, una mossa che, come sottolineavamo su Formiche.net, ha aumentato gli interrogativi sul futuro del consorzio O-Ran per il 5G a Ran aperta, in cui le aziende cinesi hanno un peso molto forte.

L’amministrazione Biden sembra così confermare di non essere disponibile a cambiare direzione rispetto a quella intrapresa dall’ex presidente Donald Trump. Nei giorni scorsi abbiamo raccontato la prima multa americana per violazione del ban su Huawei elevata a un’azienda della Pennsylvania che si è accordata con il dipartimento del Commercio per 80.000 euro per quattro spedizioni non autorizzate. Una situazione in cui, come notavamo su Formiche.net, Huawei, che ha recentemente dichiarato un calo nelle entrate nel terzo trimestre del 38%, sta pensando allo spezzatino. Prima è toccato agli smartphone targati Honor, ora potrebbe essere il turno della divisione server. L’obiettivo è cedere pezzi del gruppo per aggirare i vincoli americani. Ma i repubblicani sono già in pressing sull’amministrazione.

Così Biden chiude la scappatoia sfruttata da Huawei e Zte

Il presidente ha firmato una legge bipartisan che richiede alla Fcc di non approvare né esaminare richieste delle società cinesi

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