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I prezzi dell’energia stanno galoppando, in conseguenza della ripresa delle attività economiche e di altri fattori.
Intanto anche i prezzi della CO2 segnano nuovi record (si veda la tabella).

Le recenti impennate di prezzo, guidate dai nuovi obiettivi europei e dalle conseguenti posizioni speculative degli hedge fund, che possono permettersi di entrare e uscire dal meccanismo in base ai prezzi, hanno di fatto anticipato gli scenari post 2025 senza che le soluzioni tecniche future fossero già disponibili. Le imprese sono costrette a pagare oggi il costo ETS che avrebbero evitato di pagare in futuro se avessero avuto il tempo per mettere a terra i necessari investimenti.

Anche per questi motivi è necessario chiudere in tempi brevi il dossier sulla copertura dei costi indiretti della CO2, che in tutta Europa, eccetto che in Italia, è applicata da anni. Essa contribuisce a sterilizzare il rischio ETS sui soggetti Carbon Leakage, schermandole dal rischio di delocalizzazione. Mentre in Italia il dossier segue il suo iter, all’estero, i nostri concorrenti europei, incassano già il rimborso regolarmente.

La transizione dell’industria verso un’economia decarbonizzata necessita strumenti e tempi compatibili con lo sviluppo tecnologico; non possiamo migliorare le performance ambientali dei nostri stabilimenti se non esistono soluzioni tecnologiche concrete che possano sostituire le attuali.

Lo sforzo delle imprese deve essere quello di adottare le best practice, compatibilmente con la tenuta economica dell’impresa stessa, specialmente se operante in un contesto di mercato internazionale.

Costringere le imprese a chiudere le attività, appesantite da costi ambientali non sostenibili come l’ETS, significa trasferire le produzioni in paesi che saranno sicuramente meno attenti al corretto utilizzo delle risorse e in conseguenza contribuirà all’aumento delle emissioni su scala globale.

Le imprese hanno bisogno di certezza nella programmazione del proprio sviluppo, che deve essere necessariamente coerente con i tempi industriali e con le logiche dei mercati internazionali.

Siamo nella delicata fase in cui l’evoluzione tecnologica mostra le innovazioni che saranno disponibili nei prossimi 10/20 anni e al contempo efficienta, con l’aiuto della digitalizzazione, i processi attualmente in essere.

Non possiamo pensare oggi a fabbriche che abbandonano il gas naturale per passare in modalità on/off a idrogeno o biocombustibile, semplicemente perché queste nuove tecnologie non sono ancora disponibili su scala industriale.
Non è possibile abbandonare il gas per utilizzare l’elettricità quando ci sono ancora problemi per un solo MKW in più (figuriamo per 20 o 30 MKW necessari ad uno stabilimento industriale)!

Il Gas

Il ruolo del gas, o meglio il ruolo del suo utilizzo efficiente, sarà la chiave primaria che guiderà la transizione: le possibilità di efficientamento dei processi di utilizzo del gas, del recupero di tutta la sua entalpia, forniranno nei prossimi anni un contributo concreto al contenimento delle emissioni. Esportare i nostri prodotti nei Paesi che ancora oggi utilizzano carbone e derivati del petrolio, e che pesano nel bilancio mondiale delle emissioni per oltre il 70%, può fornire un contributo alla decarbonizzazione ben superiore agli sforzi di ricerca e sviluppo applicati ai nostri cicli (CCUS, idrogeno, FER integrate, ecc.), su cui stiamo lavorando molto ma che porteranno risultati solo nel futuro prossimo. Le due azioni ovviamente non si escludono.

Con DM 2 marzo 2018 è stata introdotta la definizione di energivoro gas. Da allora ne attendiamo l’attuazione, mentre i Paesi europei manifatturieri hanno “scudato” le loro imprese energivore dagli extra-costi sul gas derivanti dalle politiche climatiche, operando in questo nell’ambito di legittimità delineato dall’Unione Europea.

Nel frattempo le accise sul gas ad uso industriale sono state inserite nel registro dei sussidi ambientalmente dannosi, senza preoccuparsi se appunto il gas rappresenti o no la best practice per l’industria, se siano disponibili alternative più efficienti e con quale livello di efficienza viene utilizzato il gas, alimentando la illusoria confidenza che una “revoca” di un qualsiasi misura sia la soluzione alla questione.

In totale per tutta l’industria interessata si tratta di una misura che vale 200 milioni di euro.

L’Emissions Trading Scheme (ETS)

Solo il 28 dicembre scorso il governo ha notificato il provvedimento di compensazione dei costi indiretti ETS alla Commissione Ue. L’Italia, in questa graduatoria, arriva ultima e sola dopo che quasi tutti i Paesi Ue hanno già varato misure in questa direzione.

Le risorse finanziarie allocate sono esigue (70 milioni per le compensazioni 2020 e 120 per le 2021 e anni successivi).
In Germania la stessa misura, già in vigore, vale circa 550 milioni, in Francia circa 250 milioni (sempre già in vigore).

Non varare rapidamente almeno queste due misure (già previste) significa contribuire a lasciare le imprese in totale balia dei mercati e dei costi che la transizione impone, senza essere in condizione di porre in essere strategie alternative.

Lo sblocco delle due misure in materia di gas ed ETS, consentirebbe alle imprese di non “sganciarsi” dalla competitività e dal treno verde europeo, senza continuare a subire danni incalcolabili, e al contempo fornire quella necessaria spinta per continuare a investire in ricerca, tecnologia e macchinari che ha sempre contraddistinto l’industria italiana nell’ottica di una rinnovata Transizione energetica ed ecologica.

Gas ed Emissions Trading Scheme, politica energetica e prezzi imbizzarriti

Lo sblocco di due misure in materia di gas ed Ets consentirebbe alle imprese di non “sganciarsi” dalla competitività e dal treno verde europeo, senza continuare a subire danni incalcolabili, e al contempo fornire quella necessaria spinta per continuare a investire in ricerca, tecnologia e macchinari che ha sempre contraddistinto l’industria italiana nell’ottica di una rinnovata Transizione energetica ed ecologica. L’intervento di Massimo Medugno, direttore generale Assocarta

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