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“Conosciamo la posizione del governo israeliano sul[l’accordo nucleare con l’Iran] Jcpoa. Questo è uno dei punti di differenza tra i nostri due governi, ma non una causa di conflitti”, ha detto una fonte dell’amministrazione statunitense a Politico in occasione dell’arrivo del primo ministro israeliano Naftali Bennett a Washington.

Ecco la sua agenda. Mercoledì: incontri con Howard Kohr, numero uno della potente lobby American Israel Public Affairs Committee; Antony Blinken, segretario di Stato; Lloyd Austin, segretario alla Difesa; Jake Sullivan, consigliere per la sicurezza nazionale. Il faccia a faccia alla Casa Bianca con il presidente Joe Biden era previsto per giovedì ma è stato spostato a venerdì a causa dell’attentato terroristico avvenuto all’aeroporto di Kabul, in Afghanistan.

La scorsa settimana il primo ministro israeliano aveva incontrato via Zoom un gruppo bipartisan di membri del Congresso sottolineando che è anche interesse americano prevenire la corsa agli armamenti nucleari dell’Iran. “Ogni Paese che l’Iran tocca diventa uno Stato fallito” e che “prevenire una cascata di Stati falliti” è anche nel vostro interesse, ha detto.

Le parole della fonte citata da Politico confermano l’apertura degli Stati Uniti al cosiddetto governo del cambiamento, che ha messo fine a 12 anni di guida di Benjamin Netanyahu, il quale aveva costruito un rapporto diretto e personale con l’ex presidente Donald Trump e che proprio nei giorni della visita del suo successore alla Casa Bianca, lui, che Biden presidente non l’ha mai incontrato, si trova in un resort sull’isola di Lanai, nelle Hawaii.

Bennett, primo ministro israeliano da giugno, ha messo in chiaro la sua posizione in un’intervista al New York Times (prima a un giornale non israeliano) rilasciata a poche ore dall’imbarco sul volo che da Tel Aviv l’ha portato Washington. Basta il titolo: “Il nuovo leader israeliano sostiene una linea dura sull’Iran ma un tono più morbido con gli Stati Uniti”.

Una linea che era già stata anticipata a fine giugno dal ministro degli Ester israeliano Yair Lapid in occasione del suo incontro con l’omologo statunitense a Roma. Tra Israele e Stati Uniti ci sono distanze sull’Iran, Gerusalemme ha “forti riserve” sulla ripresa dei negoziati per il rientro di Washington nell’accordo Jcpoa. Tuttavia, “riteniamo che il modo per discutere questi disaccordi sia attraverso conversazioni dirette e professionali, non in conferenze stampa”, aveva detto il capo della diplomazia israeliana rimarcando la distanza del nuovo governo rispetto al precedente.

In un briefing con la stampa prima del vertice, un funzionario dell’amministrazione Biden ha scelto di citare le parole utilizzate da Bennett poche ore prima della sua partenza: “Joe Biden è un vero amico di Israele. C’è un nuovo governo in Israele e una nuova amministrazione negli Stati Uniti, e porto con me un rinnovato spirito di cooperazione”.

Biden e Bennett, un leader con scarsa esperienza sul piano internazionale, hanno un obiettivo comune, dimostrato anche dalle battute tra Bennett e Blinken prima della chiusura delle porte della sala che ospitava il loro incontro al Willard Hotel di Washington: stabilizzare la coalizione “anti Netanyahu”, tanto ibrida quanto fragile, costruendo un rapporto personale. Con un occhio di riguardo, da parte di Washington, per Lapid, che nell’estate 2023 dovrebbe diventare primo ministro secondo gli accordi di rotazione di governo, e per Isaac Herzog, l’ex laburista diventato nuovo presidente di Israele (“La sua personalità, il suo rapporto con i leader mondiali – con molti dei quali ha già relazioni di lunga data – e la sua stretta familiarità con le questioni di politica estera sono tra i fattori che incentiveranno il governo a cercare i consigli di Herzog e a impiegarlo su questioni delicate”, aveva spiegato Shalom Lipner, un quarto di secolo passato all’ufficio del primo ministro israeliano e oggi nonresident senior fellow del think tank statunitense Atlantic Council, a Formiche.net).

Iran (soprattutto con Blinken) e sicurezza di Israele (con Austin) i temi in cima all’agenda di Bennett. Il governo israeliano è convinto che con l’avvento del “conservatore” Ebrahim Raisi alla presidenza iraniana, un nuovo accordo nucleare sia più lontano. Anche nell’amministrazione Biden regna il pessimismo. Gerusalemme chiede a Washington un “piano B” ma non è escluso che a un nuovo accordo nucleare possa preferire la continuazione del Jcpoa, se non altro per guardare tempo per le capacità offensive. D’altronde, Bennett ha spiegato al New York Times che avrebbe presentato a Biden una nuova visione strategica sull’Iran, che include il rafforzamento dei legami con i Paesi arabi che si oppongono all’influenza regionale e alle ambizioni nucleari di Teheran, l’adozione di azioni diplomatiche ed economiche, la continuazione degli attacchi clandestini, comprese quelle che ha definito “cose da zona grigia”.

Poi questione palestinese, visti, ma anche le tre “c” – cambiamento climatico, Covid-19 e Cina, tema quest’ultimo su cui negli anni passati si sono accese le poche scintille tra Trump e Netanyahu a causa di investimenti cinesi in Israele. Il tutto a dimostrazione della sensibilità del nuovo governo israeliano verso le priorità degli Stati Uniti.

Un reset della relazione Israele-Stati Uniti su toni costruttivi è “senza dubbio” un obiettivo per entrambi i leader, ha commentato prima della visita David Makovsky, esperto del Washington Institute. “La domanda è se questo sforzo si tradurrà in una relazione personale di fiducia che permetta ai loro consiglieri senior di lavorare tranquillamente sulle divergenze bilaterali su questioni regionali chiave”, ha spiegato. “Se i due alleati non saranno in grado di consigliarsi a vicenda sull’Iran, sul gradualismo palestinese e su altre questioni, allora le loro differenze potrebbero presto uscire allo scoperto e porre fine all’attuale luna di miele”. Ma non è tutto. Anzi. “In alternativa”, prosegue l’esperto, “se le forze più ampie che modellano il ridimensionamento americano in Medio Oriente rendono Israele ancora più importante per il calcolo regionale di Washington, questo imperativo strategico potrebbe mettere in ombra qualsiasi differenza politica bilaterale in futuro”, ha concluso.

(Foto: gov.il, @ Ohayon)

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