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Mettiamo che il signor Franz Schäfer, residente a Stoccarda, operaio della Mercedes, decida di passare le vacanze in Italia. È probabile che decida di recarsi al Sud, dove il mare è bello e le località accoglienti (pure al Nord ma il signor Schäfer è teutonico e decisionista: ha letto un opuscolo sul Meridione, gli piaciuto e ha detto alla famiglia: quest’anno andiamo lì).

Si mette in viaggio in auto e sarebbe senz’altro piacevolmente soddisfatto di passare la frontiera, imboccare l’autostrada e senza colpo ferire arrivare dritto in Calabria diciamo da casello a casello. È presumibile che giunto a Reggio sarebbe entusiasta di imboccare il Ponte più bello e nuovo che c’è e planare direttamente in Sicilia, fino ad Agrigento, alla valle dei Templi. Quasi certamente se ne tornerebbe a casa lodando l’Italia, le sue infrastrutture, le sue comodità, le sue bellezze naturali.

Quanti herr Schäfer ci sono in Europa, e quanti nel mondo? Certamente milioni, che però le cose che sarebbero piaciute al turista tedesco non le trovano e, cosa ancor più mesta, neppure le cercano.
Invece è qui la svolta vera che l’Italia deve imboccare. Ci sono alcune opere che danno il segno della novità e che rappresentano, metaforicamente oltre che fisicamente, il cambio di fase, una nuova era che si apre. Come fu per l’autostrada del Sole negli anni Sessanta. Com’è stato per il Ponte di Genova, dopo il crollo di quello costruito da Morandi.

E c’è un’opera che da decenni aspetta di essere realizzata e che proprio a quelle esigenze risponde, per significare che il passato è alle spalle e il signor Schäfer può prenotare tutti gli anni le vacanze nel Belpaese. L’opera è il Ponte sullo Stretto che da qualche decennio fomenta il dibattito pro e contro, costringe agli straordinari solerti funzionari ministeriali, ingolfa di progetti i cassetti dei ministeri interessati e poi finisce nel nulla di benaltristi o contrari per definizione. Chissà se stavolta qualcosa cambierà.

Potenziamento della Salerno-Reggio Calabria e Pronte sullo Stretto non sono tra i progetti finanziabili dal Piano nazionale di ripresa e resilienza. Tuttavia il ministro Mara Carfagna ha assicurato che i soldi si possono trovare lo stesso: “Si può fare anche con fondi nazionali, con finanziamenti italiani”. Questo perché si tratta “di un’opera strategica”.
Strategica è la parola magica. Perché il nostro Paese è alla vigilia di una sfida che per usare un termine abusato è davvero epocale e stavolta, come ha puntualizzato il presidente del Consiglio, o si coglie l’opportunità o lo spettro è che non ce ne saranno altre.

In molti hanno detto e scritto che il Recovery, e più in generale il Next Generation Ue, possono svolgere per l’Italia la funzione che svolse il piano Marshall nel dopoguerra. È vero fino ad un certo punto. Perché se è vero che la priorità è centrare il bersaglio della ripresa e riavviare dopo vent’anni la crescita, è altrettanto necessario – e, appunto, strategico – impiegare la messe di risorse non solo per rimettere in sesto ma soprattutto per trasformare il Paese. Per dotarlo di infrastrutture che valgano nei prossimi decenni, per concretizzare una visione che abbia il pregio della lungimiranza e anche quello di farlo diventare una land of opportunity per le future generazioni.

Senza enfatizzazioni o voli pindarici, il ponte sullo Stretto di Messina è una di quelle opere che possono segnare il futuro. Mentre il Pnrr si occupa del software, opere come quella o le dorsali viarie sul Tirreno o sull’Adriatico possono essere l’hardware che ci distingue rispetto ai partner europei. La dimostrazione che con fondi nazionali e non comunitari siamo lo stesso in grado di fare cose importanti e durature. Anche un pizzico avveniristiche.

Chissà se stavolta i sogni o i progetti possano diventare realtà. A dispetto dei tanti gufi, le condizioni ci sono: e non solo quelle economiche. Quello che finora è mancato è il coraggio. E se non ce l’ha SuperMario, chi altri?

Più ponte per tutti. Il mosaico di Fusi

Il ponte sullo Stretto di Messina è una di quelle opere che possono segnare il futuro. Non con i fondi del Pnrr, ma con quelli nazionali, per dimostrare di essere in grado di fare cose importanti e durature. Anche un pizzico avveniristiche. L’editoriale di Carlo Fusi

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