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Ci sarà tempo e modo per valutare effetti a breve e lungo termine. Adesso però è il momento per capire cosa è successo. Per questo iniziamo da qui.

Ore 02:00 della notte tra l’11 e il 12 giugno. Una raffica di attacchi di precisione parte da cielo e mare. Gli aerei israeliani decollano dal deserto del Negev, i sommergibili Dolphin manovrano nel Golfo Persico. Obiettivo: disarticolare il programma nucleare e missilistico iraniano, colpendone strutture e vertici. Ma c’è un elemento che fa la differenza e segna un punto di svolta operativo: Israele non ha (probabilmente) mai “violato” lo spazio aereo iraniano. Attenzione però: non è un’accortezza diplomatica, bensì una pratica di sicurezza per rendere più difficile la reazione difensiva.

Gli attacchi sono stati condotti da grande distanza, usando missili stand-off e vettori di ultima generazione. Una campagna chirurgica, tecnologicamente avanzata, costruita per colpire in profondità senza esporsi. E soprattutto – come ha detto esplicitamente il portavoce militare israeliano – “non si tratta di un’azione isolata, ma dell’inizio di un’operazione in più fasi”.

Prima fase: Natanz, senza mai oltrepassare il confine

Alle 02:00, i jet F-35I “Adir” decollano da Israele. Entrano in aree di pattugliamento operative a oltre 160 chilometri dai bersagli, senza attraversare i confini iraniani. Da lì rilasciano missili da crociera a lungo raggio – probabilmente Rampage e ROCKS – capaci di colpire con precisione installazioni difese e bunker sotterranei.

Il bersaglio è Natanz, nodo centrale del programma di arricchimento dell’uranio iraniano. I missili, guidati da sistemi GPS-INS e dotati di testate penetranti, distruggono sia infrastrutture in superficie sia gallerie sotterranee a decine di metri di profondità. Le esplosioni, confermate da immagini satellitari e media iraniani, dimostrano la totale neutralizzazione del sito.

Gli F-35 – equipaggiati con capacità stealth e guerra elettronica – non vengono rilevati. Le difese antiaeree iraniane non reagiscono. L’intera fase dura meno di un’ora. Non si segnalano intercettazioni, né sorvoli diretti sul territorio.

Seconda fase: eliminazione dei vertici

Alle 03:30 inizia la seconda ondata. Dai sommergibili classe Dolphin, in immersione nel Golfo Persico, partono missili cruise Popeye Turbo (o analoghi), con gittata fino a 1.500 chilometri. I bersagli sono le residenze private dei dirigenti militari e scientifici iraniani, tra Teheran, Isfahan e Shiraz.

I missili colpiscono nel sonno figure chiave dell’apparato strategico. Secondo fonti israeliane e internazionali, i morti includono:

  • Hossein Salami, comandante in capo delle Guardie della Rivoluzione (IRGC);
  • Gholam Ali Rashid, vice capo dello stato maggiore generale;
  • Mohammad Bagheri, capo delle forze armate iraniane (la sua morte è data per probabile ma non ufficiale);
  • Fereydoun Abbasi-Davani e Mohammad Mehdi Tehranchi, tra i principali scienziati del programma nucleare.

I missili, dotati di guida terminale ottica, colpiscono camere da letto, uffici privati, ambienti familiari. Le vittime sono tutte parte integrante della macchina militare iraniana.

Distanza e precisione: la dottrina operativa

Israele ha dimostrato come si conduce una guerra tecnologica ad alta intensità senza esporre le proprie forze. L’uso massiccio di armamenti stand-off consente di colpire da oltre 160 km con gli F-35 e oltre 300 km (fino a 1.500) con i missili da sommergibili. A questi si aggiungono operazioni cyber coordinate dal Mossad e dall’Unità 8200, che hanno oscurato radar, disturbato le comunicazioni e preparato il campo per l’attacco.

L’efficacia è stata elevata, almeno stando agli elementi di cui disponiamo. Nessun velivolo colpito. Nessun sistema intercettato. Nessuna penetrazione fisica nel territorio nemico.

Il governo di Gerusalemme: “È solo l’inizio”

A poche ore dall’operazione, è arrivata la dichiarazione ufficiale del portavoce dell’Idf: “Si tratta della prima fase di un’operazione complessa. Continueremo nei prossimi giorni, con lo scopo di neutralizzare le capacità offensive e nucleari del regime di Teheran”. Anche il primo ministro Benjamin Netanyahu, in un messaggio al Paese, ha sottolineato: “Abbiamo colpito per impedire che l’Iran raggiunga l’arma atomica. Colpiremo ancora, se necessario. E siamo pronti a ogni reazione”.

Israele si prepara alla ritorsione

Sebbene Teheran non abbia ancora annunciato risposte formali, l’apparato di difesa israeliano è in piena allerta. Attivi:

  • Iron Dome, per missili a corto raggio (Hezbollah, Hamas, milizie irachene);
  • David’s Sling, per minacce a medio raggio;
  • Arrow-3, contro missili balistici intercontinentali dall’Iran;
  • Pattugliamenti navali nel Mediterraneo e nello stretto di Tiran;
  • Sorveglianza continua con droni e aerei AWACS.

In particolare, il nord del Paese è stato rafforzato in vista di possibili attacchi da parte di Hezbollah. Aerei da ricognizione presidiano i cieli sopra il Libano e la Siria. Nella zona di Eilat e nel Negev, l’esercito ha mobilitato unità di risposta rapida.

Non è finita qui

Le fonti militari israeliane parlano chiaro: “L’operazione durerà giorni”. L’obiettivo è sradicare la capacità nucleare e missilistica iraniana, colpendo le infrastrutture, gli impianti di comando e gli uomini chiave. Israele ha scelto di agire senza ambiguità. E ha scelto di farlo secondo una logica operativa moderna: letale, invisibile, a distanza.

Una nuova dottrina militare è già in atto. Ed è iniziata stanotte.

Israele, una nuova dottrina militare è già in atto. Ed è iniziata stanotte. Scrive Arditti

Le fonti militari israeliane parlano chiaro: “L’operazione durerà giorni”. L’obiettivo è sradicare la capacità nucleare e missilistica iraniana, colpendo le infrastrutture, gli impianti di comando e gli uomini chiave. Israele ha scelto di agire senza ambiguità. E ha scelto di farlo secondo una logica operativa moderna: letale, invisibile, a distanza

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