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La correlazione tra emissioni umane ed eventi climatici estremi non è mai stata così solida. Nel nuovo rapporto Ipcc sul clima (lo “studio degli studi” sulla salute del pianeta, il cui riassunto è approvato da 195 Paesi) gli autori non hanno certo indorato la pillola: la temperatura globale in superficie è aumentata di 1,1°C rispetto ai livelli preindustriali (1850-1900), gli scorsi cinque anni sono stati i più caldi mai registrati dal 1850, il tasso di innalzamento del livelli dei mari è triplicato rispetto al periodo 1971-1981 e il riscaldamento globale è “inequivocabilmente” riconducibile all’azione umana.

Stando agli autori del testo, è “virtualmente certo” che gli estremi di caldo, comprese le ondate di calore, siano diventati più frequenti e più intensi dagli anni ’50, mentre la frequenza e la gravità degli eventi freddi è diminuita. La scienza non può essere assolutista, ma il dato è quanto di più umanamente simile alla certezza che sì, la scala e la gravità degli eventi estremi (tra cui gli incendi che consumano Grecia, Turchia e costa pacifica nordamericana, o le alluvioni in Cina e Germania) sono effettivamente in aumento.

“E’ un dato di fatto, non possiamo esserne più certi; è inequivocabile e indiscutibile che gli esseri umani stiano riscaldando il pianeta”, ha detto alla BBC Ed Hawkins, professore all’università di Reading e coautore del rapporto Ipcc. Una volta preso atto di ciò, nell’ottica di spingere Paesi e governi all’azione, correlare direttamente gli eventi estremi al riscaldamento globale – e dunque, per estensione, all’azione umana – è, mediaticamente parlando, una strategia efficacissima. Difficile ignorare la minaccia della crisi climatica quando le ripercussioni sono così evidenti.

In genere ci vogliono anni a produrre uno studio che certifichi questa correlazione, tra raccolta dati, stesura e processo di peer-reviewing. Per questo è nata la branca dell’attribuzione di eventi estremi, che offre modalità rapide di correlazione capaci di produrre risultati utilizzabili dai media in tempi utili. Nel rapporto sul clima del 2014 (quello che ha fornito le basi per gli Accordi di Parigi del 2015), l’attribuzione era descritta come un campo promettente ma esplorativo; oggi questa pratica è ufficialmente validata nel rapporto Ipcc 2021 ed è uno “sforzo di routine nella comunità scientifica” secondo Hawkins.

Il World Weather Attribution Initiative (WWA) è una delle maggiori forze in campo, nato nel 2014 e cresciuto grazie alla collaborazione internazionale tra scienziati del clima. L’ente non profit è diretto da Friederike Otto (Università di Oxford) e Geert Jan van Oldenborgh dell’Istituto meteorologico olandese (KNMI). Opera svolgendo centinaia di simulazioni informatiche per comparare le probabilità che un evento climatico estremo accada in un mondo senza gas serra prodotti dall’uomo con quelle basate sulla realtà.

Il risultato è un’analisi parziale ma rapida, ottenuta grazie ad alcune “scorciatoie” che abbreviano il procedimento classico di verifica (se, per esempio, l’evento in esame è dello stesso tipo di un altro già studiato e verificato, non si aspetta un’ulteriore verifica indipendente). Il processo di peer-review avviene comunque, anche se in un secondo momento, e finora quelli svolti sembrano confermare le analisi preliminari. Un parere di WWA del 2014 relativo all’uragano Desmond nel Regno Unito è stato confermato da più parti nel 2018.

Lo scorso 7 luglio, il WWA ha correlato l’ondata di caldo record che avviluppava la costa pacifica degli Stati Uniti da giugno; a distanza di pochi la regione è stata attraversata da alcuni tra gli incendi più feroci mai registrati, che entro la fine del mese si sono lasciati dietro una quantità di terra bruciata pari all’estensione combinata di New York, Los Angeles e Chicago (CNN). Quei roghi ardono ancora oggi, l’impatto è innegabile, e la pressione politica è in aumento.

Certo, operare un distinguo netto tra causalità e casualità rimane un compito lungo e faticoso, specie per i processi certosini della scienza e l’immensa quantità di variabili che contraddistingue quella climatica. Una delle critiche più mosse al WWA è l’impossibilità di fornire modelli più dettagliati e localizzati, che peraltro richiederebbero ingenti quantità di potere computazionale e soldi. Ma la dottoressa Otto e i suoi ritengono che anche modelli più imprecisi possano comunque restituire conclusioni utili. A ogni modo, gli scienziati del WWA scelgono di non procedere se l’analisi è impossibile.

Scrive Politico che “Otto lavora anche a stretto contatto con avvocati, utilizzando la ricerca di WWA per sviluppare azioni legali volte a costringere aziende o governi a ridurre il loro impatto sull’ambiente o addirittura a chiedere un risarcimento per le vittime. Poiché adatta apertamente la sua ricerca a fini politici, è stata criticata come sostenitrice. Ma lei dice che è ‘assurdo’ criticare gli scienziati per aver considerato come il loro lavoro può essere utilizzato.” Otto, che ha un altro dottorato in filosofia, rifiuta la ricerca della conoscenza fine a sé stessa. Specie, aggiungeremmo, quando l’urgenza di agire è così impellente.

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