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“Un grande classico. Mancava solo il cappello Borsalino”. Edward Luttwak trattiene a stento il sorriso. La spy story russa da Roma è arrivata dritta nel Maryland, a casa sua. La trattativa, l’arresto di Walter Biot, l’ufficiale della Marina colto in flagranza a vendere segreti militari della Nato a un attaché dell’ambasciata russa, l’espulsione di due funzionari russi tornati a Mosca con il primo Aeroflot.

Sa tutto, ma “non c’è bisogno di leggere”, perché “è un tipico caso di spionaggio, di quelli che non si sentono più”. Luttwak, tra i più noti strateghi militari americani, con un passato al Pentagono e alla Casa Bianca come consigliere, ha raccontato a generazioni di studiosi militari l’Unione sovietica, le tattiche del Cremlino, le abitudini vecchie a morire.

“È andato tutto secondo il manuale. C’era l’ufficiale della Marina, l’attaché dell’ambasciata. E un errore, che ha attivato l’ottimo sistema della sicurezza italiana”. Insomma, “tutti hanno fatto il loro dovere”, dice Luttwak, “oggi lo spionaggio è molto più noioso: entrano in azione bot elettronici, la vittima è un pc non protetto e non si sa da quale Paese provenga la penetrazione”.

Mentre la magistratura indaga, ci sono i numeri a dare un primo quadro della gravità dell’infiltrazione russa. Sono 181 i documenti ceduti da Biot a Dmitrij Ostroukhov e Aleksej Nemudrov, di cui nove “riservatissimi” e ben 47 classificati come “Nato secret”. “Dubito che si tratti di informazioni altamente sensibili o che mettano a rischio la Nato”, chiosa lo stratega americano. “Non appena diventi una spia russa, professione cui si avvicinano tanti italiani, scopri presto che i tuoi capi di lavoro hanno una sola mania. Non vogliono avere informazioni, né la verità. Vogliono i documenti, quintali di documenti. E Flot lavorava in un ufficio che ne è pieno”.

Qualunque siano le informazioni rubate, il pericolo è relativo, garantisce il politologo. “Oggi la Federazione russa non è una minaccia militare attiva. È molto attiva nello spionaggio, perché è un’attività che rende, e costa poco. Costa di più modificare l’ala di una serie di caccia che mantenere una burocrazia di spie”.

Chiediamo a Luttwak che fine faranno in patria i due 007 cacciati dalla Farnesina. Medaglia al valore o esilio? “Nessuna delle due. Lo spionaggio russo ha un’ottima tradizione per la gestione del personale. Quando qualcuno commette un errore, non lo puniscono. Chi ha problemi di alcool viene affidato a uno psicanalista. Non a caso, quando stranieri reclutati come agenti vengono scoperti, preferiscono tornare a Mosca”.

Se il caso Biot è davvero così “ordinario”, perché è stato scelto di rendere pubblica la falla? Un messaggio del governo Draghi a Vladimir Putin? Luttwak ha i suoi dubbi, “quando un ufficiale della Marina italiana vende segreti militari per 5000 euro, la notizia deve a tutti i costi essere pubblicata”.

Sorprende, questo sì, il silenzio, bipartisan, delle forze politiche italiane. Forse perché, in fondo, vantano tutte, chi più chi meno, un ottimo rapporto con la piazza rossa. Per l’America di Joe Biden queste simpatie possono trasformarsi in un problema? “No, finché si tengono dentro ai binari”, risponde Luttwak. “La federazione russa mette in discussione tutti i principi della vita occidentale. I russi sono europei, un po’ meno quando si parla di libertà individuale, democrazia, diritti umani. Il problema italiano ha un altro nome”. Cioè? “La Cina. La penetrazione cinese in Italia è considerevole, senza precedenti. Ci sono ministri, sottosegretari sull’elenco della Città Proibita. Di questo sì, dovreste preoccuparvi”.

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