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Sopravvivere, e sopravvivremo. A un solo grido di battaglia risponde oggi la politica italiana, dice Rino Formica, una vita fra le fila del Partito socialista, già ministro delle Finanze: “L’autoconservazione”. Il bilancio dei primi cento giorni del governo Draghi è severo, a tratti impietoso. Non certo per colpa di un premier venuto da Francoforte con una premessa fin troppo chiara, la “provvisorietà”. Quanto semmai per una maggioranza che “vive alla giornata, senza capire che sta per esplodere una bomba sociale e istituzionale”.

Quale bomba?

Temo abbiano preso troppo alla leggera quel suggerimento sbrigativo di Draghi appena arrivato a Palazzo Chigi. “Ora dobbiamo dare, poi verrà il momento di togliere”. Ecco, quel momento è arrivato. Dopo l’anestesia, serve un’incisione profonda.

Cioè?

Si ristabiliscono le regole. Forse è una buona notizia per chi è stato attento e virtuoso, un male per chi ha allegramente speso senza pensieri. Resta una necessità, il presupposto per tornare alla normalità e affrontare la riforma del sistema in arrivo. Sarà come cambiare il motore a una macchina in corsa.

Si riferisce al blocco dei licenziamenti? Confindustria si sente tradita dal governo…

Il blocco dei licenziamenti, la crescita della disoccupazione sono solo effetti. Nessuno vuole affrontare la causa. La debolezza del sistema socio-economico è data dalla fragilità del sistema politico. Con una maggioranza larga e contraddittoria, i partiti immobilizzati da contrasti e lotte intestine.

Quanto dura lo stallo?

Ormai è uno stallo endemico. I partiti politici oggi non sono diversi da quelli della Prima Repubblica. Si auto-conservano, cambiano pelle pur di restare al loro posto. Tanto che nessuno dei partiti oggi in Parlamento è rimasto lo stesso di quando è entrato nel 2018. I Cinque Stelle sono irriconoscibili.

Neanche la Lega?

La Lega ancora meno. Sono entrati sovranisti, usciranno europeisti. Erano giustizialisti, adesso sono garantisti.

Il Pd ha cambiato solo un paio di segretari…

Il Pd è arrivato come partito sconfitto, e si ritrova in una posizione di centralità che porta più guai che benefici. Lacerato a destra, sinistra e pure al centro, oscilla tra nostalgie della sinistra democristiana e suggestioni liberaldemocratiche, ormai ben lontano dal perimetro della sinistra tradizionale italiana.

Ma vicino al patto progressista con Giuseppe Conte. O almeno così dicono.

Altro che patto progressista, è un patto fra infortunati. Con un tacito sottinteso: arriverà un momento in cui uno dei due mangerà l’altro, non sappiamo chi sarà il primo a spalancare le fauci.

Un pronostico?

Credo che lo stato di salute del Movimento parli da sé. È in un processo di radicale cambiamento di linea politica ma senza l’ombra di una leadership in grado di governarlo. Grillo, Di Maio, Conte hanno perso autorevolezza. Ormai il vero Dna grillino va cercato fra qualche veterano No-Tav.

Formica, quanto regge il governo?

Le posso dire che il Parlamento regge fino al 2023, terrorizzato dalla riforma referendaria sul taglio dei parlamentari. Del governo non sarei così sicuro. La situazione politica può implodere questo autunno, con le amministrative e poi la partita più sensibile, il Quirinale.

Chi sale al Colle?

Sento parlare di Mattarella bis, qualcuno pensa addirittura a Draghi. La dura verità è che i palazzi romani si pongono una sola domanda: ci saranno le elezioni anticipate? Tutto il resto è noia.

Draghi resta a Palazzo Chigi?

Non ha altra scelta. La stessa composizione della sua maggioranza ne fa un “provvisorio”. Una soluzione momentanea, non di ampio respiro politico. È legato, suo malgrado, alle convenienze delle singole forze politiche che lo sostengono. Meglio così per lui. Chiunque guiderà il Quirinale farà comunque i conti con una grave crisi istituzionale.

Quale?

Il taglio referendario che aleggia sulla politica italiana ha già indebolito, delegittimato un pilastro del “quadrilatero” istituzionale: il Parlamento. Alterando l’equilibrio dei rapporti di forza con il Capo dello Stato e il presidente del Consiglio.

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