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Verso la metà degli anni settanta del secolo scorso, nella mia veste ufficiale di direttore della divisioni pertinente della Banca mondiale, ero a Khartoum, capitale del Sudan. Dopo una verifica, con miei colleghi, della realizzazione di progetti finanziati dalla Banca ed in corso di attuazione, saremmo dovuti andare a Juba, capitale di quella che allora era la regione del Sud Sudan, perché, in occasione di una tregua di un conflitto, che è durato 18 anni, si pensava alla possibile messa a punto di un programma di ricostruzione.

Restammo nella capitale perché nella regione meridionale era scoppiata la green monkeys fever (successivamente riconosciuta come l’inizio dell’Aids) che ha imperversato per circa quaranta anni e che ora si sa essere stata portato all’uomo da varie specie di scimmie e scimpanzé.

Questo ricordo mi è venuto in mente pensando ad un flagello ancora più grave ed ancora in corso: la pandemia di Covid 19 che ha causato circa tre miliardi di vittime e scatenato la più forte recessione economica che il mondo ricordi. Il Covid 19, al pari dell’Ebola, della Sars Covid-1 e dell’Aids hanno la medesima matrice: la trasmissione all’uomo, tramite un mammifero intermedio che ha fatto da vettore, di un virus tipico di animale selvaggio uso ad un habitat di foresta tropicale; il mammifero intermedio è considerato selvaggina di pregio e pietanza di lusso in alcuni Paesi come la Repubblica Popolare Cinese. Lo ha appena ribadito uno studio della Cornell University, coordinato da Steve Osofsky, uno dei maggiori esperti di zoologia tropicale a livello mondiale.

Se a fine 2019-inizio 2020, in Cina ci fosse stata un’esplosione nucleare per documentata incuria (mancanza di adeguata manutenzione o simile), non solo numerosi Paesi avrebbero rotto le relazioni diplomatiche con Pechino, che sarebbe stata cacciata dall’Organizzazione Mondiale del Commercio e soprattutto dalla Fao e dall’Oms (due agenzie Onu dove spadroneggia), ma Unione europea, G20 e Nazioni Unite starebbero preparando un programma di prevenzione. Invece, oltre a tentare con i vaccini a bloccare il flagello, piangiamo i morti, auspicando che qualcosa di analogo non si avvenga più.

Invece, senza prevenzione, la pandemia minaccia di ripetersi a scadenze sempre più riavvicinate, a ragione della sempre più intensa integrazione economica internazionale che verrà rallentata ma non bloccata anche in quanto è una leva dello sviluppo economico e sociale internazionale. Alla fine del Novecento, ha imperversato l’Aids, ma dall’inizio del secolo abbiamo avuto tre pandemie a scadenze sempre più ravvicinate: una iniziata in Africa e due in Cina.

Cosa dovrebbe includere un programma mondiale di prevenzione? Tre punti:

a) Sanzioni severe nei confronti della Cina, quali il blocco dei commerci e richiesta di riparazioni.

b) L’attuazione nel quadro dell’Interpol di indagini nei confronti di coloro che continuano a “gustare” selvaggina rischiosa (sulla base di un elenco definito a livello internazionale) privatizzando un piacere proibito ma socializzandone i costi. Una volta identificati dovrebbero essere deferiti alla Corte penale internazionale per i crimini contro l’umanità, prevedendo pene all’ergastolo.

c) Bloccare i programmi di deforestazione –nei confronti della quale la Fao a guida cinese pare essere timida – : sono una delle determinanti della trasmissione del virus da animali selvaggi a mammiferi ed infine all’uomo.

Prevenire la prossima pandemia è possibile. Pennisi spiega come

Cosa dovrebbe includere un programma mondiale di prevenzione? Innanzitutto sanzioni severe nei confronti della Cina, quali il blocco dei commerci e richiesta di riparazioni. Il commento di Giuseppe Pennisi

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