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Prima l’affondo del presidente Joe Biden all’omologo Vladimir Putin. Poi l’ultimatum agli alleati europei – alla Germania di Angela Merkel in particolare – sul Nord Stream 2, che ha prodotto, tra le altre cose, il voto unanime del Senato a favore di William Burns e Brian McKeon approvati rispettivamente come direttore della Cia e vicesegretario di Stato dopo l’ok dei repubblicani guidati da Ted Cruz, uno dei “falchi” sul gasdotto. Il tutto dopo le tensioni per le sanzioni statunitensi coordinate con l’Unione europea per il caso dell’oppositore Alexei Navalny. E la prossima settimana, mentre il segretario di Stato americano Antony Blinken partirà per Bruxelles per la ministeriale Nato, il suo omologo russo Sergej Lavrov sarà in Cina, un viaggio celebrato dall’organo della propaganda cinese Global Times come la dimostrazione del “forte coordinamento Cina-Russia di fronte all’accerchiamento statunitense”.

È in questo clima che si è svolto il primo incontro di alto livello tra Stati Uniti e Cina nell’era Biden in Alaska.

Che Pechino, come raccontato su Formiche.net, ha tentato di sfruttare per attaccare il sistema americano. Yang Jiechi, capo della diplomazia del Partito comunista cinese, ha aperto l’incontro con un intervento fiume durato 17 minuti (contro i due previsti dalle regole protocollari accettate da entrambe le parti): “Non credo che la stragrande maggioranza dei paesi del mondo riconoscano i valori universali sostenuti dagli Stati Uniti, o che le opinioni degli Stati Uniti possano rappresentare l’opinione pubblica internazionale”, ha detto. “E quei Paesi”, ha aggiunto, “non riconoscono che le regole stabilite da un piccolo numero di persone possano servire come base per l’ordine internazionale”.

Al contrario, Washington ha cercato di minimizzare l’importanza del vertice in Alaska. L’hanno fatto nei giorni precedenti l’incontro i funzionari della Casa Bianca e del dipartimento di Stato, che hanno fatto trapelare ai giornali freddezza e scetticismo. E l’ha fatto l’amministrazione accendendo i riflettori sulla Russia affinché si spegnessero sulla Cina.

Rimangono due interrogativi. Il primo: che cosa significa per i rapporti tra Stati Uniti e Cina? Probabilmente c’entra la volontà di mantenere il canale aperto su questioni globali come i cambiamenti climatici nonostante le ampie distanze.

Il secondo: che impatto ha questo atteggiamento statunitense sull’Unione europea? Quell’Unione europea che nelle ultime ore si è mossa in senso opposto rispetto all’alleato oltre Atlantico ed è finita nel mirino di Pechino. La ragione: le sanzioni sui diritti umani annunciate in un più vasto pacchetto, all’interno del quale ci sono anche misure contro Mosca per il caso Navalny, per – sospettano i maligni – non dare l’impressione di russofobia. Sembra evidente che gli Stati Uniti stiano chiedendo all’Unione europea e ai 27 Stati membri una posizione più dura sulla Cina. Con la Cina, invece, l’Unione europea potrebbe offrire una preziosa mediazione tra le due superpotenze sui temi globali.

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