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Purtroppo nella nostra area culturale di riferimento – ovvero quella del cattolicesimo politico italiano – continua a persistere una singolare confusione, frutto anche di un disorientamento culturale e di una scarsa capacità di lettura politica della nostra società. Mi riferisco, nello specifico, agli inutili, nonché ripetuti, tentativi di riproporre l’esperienza di un partito che ormai è consegnato agli archivi storici del nostro Paese da svariati lustri.

Parlo, come ovvio, della esperienza della storica Democrazia cristiana. Un partito, e una cultura, che indubbiamente hanno vinto la sfida della storia e, al contempo, hanno perso la scommessa della politica. L’esatto contrario di ciò che, ad esempio, è capitato alla sinistra. Di matrice comunista, gramsciana e togliattiana. Che ha perso radicalmente e seccamente la sua battaglia storica, ideologica, politica e culturale – il comunismo è semplicemente e scientificamente fallito – ma, paradossalmente, ha vinto la sua battaglia tattica, contingente e pertanto anche politica. Al punto che oggi la Dc si può pronunciare solo per parlare della storia di un glorioso partito del passato mentre quando si parla dell’attuale partito di sinistra, cioè il Pd, si dice tranquillamente che è l’ultimo tassello della filiera storica Pci/Pds/Ds. Sì, certo, un paradosso, ma questa è la vulgata generale che viene semplicemente propagandata da tutta la stampa. A reti unificate, come si suol dire. E di qualsiasi schieramento politico e culturale. E senza battere ciglio alcuno.

Ora, però, e al di fuori di questa singolare ma oggettiva fotografia della storia politica del nostro Paese, va anche preso atto che parlare oggi di riproporre una forma politica ormai storicizzata è sinonimo di perdita di tempo. Per una molteplicità di ragioni su cui non vale neanche la pena di soffermarsi. Al contempo, però, resta in piedi l’ipotesi – e non si tratta solo di un’ipotesi astratta o virtuale – di mettere in campo una esperienza politica popolare, laica, riformista, di governo e riconducibile alla cultura cattolico popolare e cattolico sociale. Lo potremmo definire, sinteticamente, una sorta di nuovo e rinnovato Partito Popolare Italiano. Sì, proprio quel partito che fu di Franco Marini, Gerardo Bianco, Mino Martinazzoli, Rosa Russo Iervolino e molti altri esponenti del cattolicesimo politico italiano. Qui non c’è alcuna regressione nostalgica né, al contempo, alcun tentativo di riproporre esperimenti riconducibili a un partito che non torna più.

Molto semplicemente, si tratta di rispondere ad una domanda sempre più pressante che sale non solo da settori crescenti dell’area cattolica italiana – seppur variegata e molto composita al suo interno – ma anche da parte di quel segmento dell’elettorato italiano che non riesce ad individuare, oggi, una degna rappresentanza politica per chi crede in un progetto politico centrista e che sia in grado di declinare una vera e credibile “politica di centro”. Un progetto politico, e organizzativo, che potrebbe realmente decollare a due sole condizioni.

E cioè, che ci sia un trasparente coraggio politico da parte di chi si riconosce nel patrimonio politico e culturale del cattolicesimo popolare e sociale e che oggi non ha una adeguata e coerente “casa” politica e che, al contempo, si sappia rideclinare una proposta politica che in questi ultimi tempi si è pericolosamente ed irresponsabilmente nonché inspiegabilmente inabissata.

Sacrificata sull’altare di una bislacca radicalizzazione del conflitto politico e di un bipolarismo selvaggio sempre meno attrezzato ad affrontare le sfide della politica contemporanea. Verrebbe da dire, adesso ci sono tutte le condizioni per accettare questa sfida. Politica, culturale, programmatica e organizzativa.

È solo questione di volontà e, appunto, di coraggio politico.

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