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Mentre siamo sempre più interconnessi grazie alle nuove tecnologie, cresce la sensazione di solitudine e isolamento, soprattutto tra le fasce più giovani. Secondo un sondaggio condotto da Ipsos nel 2023 sulla popolazione del Regno Unito, il 58% delle persone tra i 18 e i 24 anni ha dichiarato di sentirsi spesso o sempre solo: un dato più alto di oltre 20 punti rispetto al totale della popolazione adulta (37%).

Il dato è ancora più significativo considerando che, sempre secondo Ipsos, ogni giovane britannico nella fascia 15-24 anni usa in media i social media per ben 83 ore al mese; mentre il numero di ore cala significativamente al crescere dell’età, fino ad arrivare a 22 ore mensili tra gli over 55. Questa dicotomia tra maggiore sensazione di solitudine da un lato e uso incrementato dei social media dall’altro la ritroviamo in tutti gli Stati occidentali.

Ma quali fattori contribuiscono alla solitudine digitale della generazione Z? E quali sono le sue implicazioni sociali e politiche? Intanto il cambiamento e la moltiplicazione dei canali di informazione, intrattenimento e comunicazione ha un impatto significativo sulla costruzione dell’identità personale.

Negli anni Novanta c’erano poche fonti centralizzate, come la televisione generalista e i quotidiani, mentre oggi la diffusione di Internet e la proliferazione dei social media hanno moltiplicato le narrazioni con cui gli utenti si confrontano, portando alla costruzione di identità sempre più fluide e frammentate. Ed è proprio questa frammentazione che alimenta un senso di smarrimento e solitudine, poiché l’individuo si trova spesso a dover gestire versioni diverse di se stesso a seconda del contesto – digitale ma non solo – in cui si muove.

Soprattutto i giovani, quindi, si trovano di fronte a una società che fa sempre meno riferimento a un patrimonio di valori e idee chiaro e identificabile, e quindi di riflesso sono sempre più esposti a una politica che tende a lasciare spazio a singole questioni capaci di mobilitare: è quella che è stata definita “politica Netflix”, basata su un consenso che rimane sostanzialmente liquido – per usare una fortunata espressione del sociologo Zygmunt Bauman – perché, proprio come i titoli dei film che compaiono nella vetrina di Netflix, possono essere scelti volta per volta on demand.

Sempre per restare nell’ambito politico, pensiamo alla cosiddetta “maschiosfera” che sostiene Donald Trump, composta da attori non politici (podcaster, influencer, creatori di contenuti) che amplificano messaggi politici conservatori, creando nuove forme di consenso soprattutto per un pubblico giovane maschile.

Non sorprende allora che alle presidenziali Usa del 2024 ci sia stato un divario di genere importante tra gli under 30 (Trump al 49% tra i maschi, mentre Harris al 48%, ma presso le donne della stessa fascia d’età Harris ha toccato il 61%).

È lo specchio, testimoniato anche in altri Paesi come la Germania, di un’inedita spaccatura tra giovani uomini e giovani donne, nell’ambito di una generazione che ha vissuto gli ultimi anni tra forti polarizzazioni e la pandemia da Covid-19, un evento che ha rimescolato abitudini e stili di vita. A questo si aggiunge il fatto che il fenomeno della solitudine digitale non è privo di conseguenze per la salute mentale.

Secondo i dati dell’Organizzazione mondiale della sanità, l’11% degli adolescenti ha mostrato segni di un comportamento problematico legato ai social media, con difficoltà nel controllarne l’uso e nel gestire le conseguenze negative, come ansia, depressione e, senza dubbio, senso di solitudine.

La Fomo (Fear of missing out, cioè la paura di essere tagliati fuori) è tra i fattori principali di questa dinamica, alimentata dalla costante visibilità delle vite altrui attraverso i social media. In un panorama tanto articolato, la sfida è trovare un nuovo equilibrio tra digitale e reale, senza demonizzare la tecnologia ma interrogandoci sul valore che attribuiamo alle relazioni dirette.

La solitudine digitale non è solo un problema dei più giovani: è un passaggio critico che tocca i modi in cui ci informiamo, ci divertiamo e partecipiamo al dibattito pubblico. Se vogliamo arginare l’isolamento, serve una riflessione sul nostro rapporto con gli strumenti digitali e, insieme, una riscoperta della relazione umana autentica come antidoto alla perenne connessione che a volte ci lascia più soli di prima.

Formiche 212

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Di Lorenzo Pregliasco e Alessio Vernetti

La proliferazione dei social media ha moltiplicato le narrazioni con cui gli utenti si confrontano, portando alla costruzione di identità sempre più fluide e frammentate che alimentano un senso di smarrimento e solitudine. Non è solo un problema della generazione Z, ma un passaggio critico che tocca i modi in cui ci informiamo e partecipiamo al dibattito pubblico. L’analisi di Lorenzo Pregliasco e Alessio Vernetti, Founding partner Youtrend e analista Youtrend

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