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Lo scontro a destra tra Matteo Salvini e Giorgia Meloni è in atto da quando il primo ha deciso di appoggiare il governo Draghi e la seconda di restarne fuori. Anche Forza Italia è della partita: stando in maggioranza e avendo ministri è inevitabile che penda più dalla parte di lui che di lei.

Il risiko dei sondaggi ha fatto il resto, con FdI in continua crescita e la Lega in continuo calo, o giù di lì. Poi è arrivato il vagheggiamento di Silvio Berlusconi per il partito unico (molta meno fuffa di quel che poteva sembrare in un primo momento), e la divaricazione si è accentuata. Se ci mettiamo le vicende Copasir e ora l’ultimissima polemica sul Cda Rai dove Lega e FI si sono messi d’accordo per escludere il candidato meloniano,  il quadro è completo. Anche se non sono da escludere nuove scaramucce o assicurazioni di lealtà subito seguite da altri sgambetti.

La realtà è che la differenziazione tra Salvini e Meloni è strutturale e lo conferma anche e soprattutto il diverso gioco di sponda che i due partiti fanno con le alleanze in Europa. Lì Draghi non c’entra ma la faglia si manifesta ugualmente.

La differenziazione è strutturale perché diverse se non addirittura opposte sono le strategie di fondo, e l’arrivo di SuperMario a Palazzo Chigi non ha fatto che da detonatore. Intanto perché la maggioranza di larghe intese smonta le coalizioni di cartapesta che in quell’assetto sono state costrette a destrutturarsi: è successo a sinistra col tramonto dell’intesa Pd-Cinquestelle e sta succedendo ora a destra con l’asse spezzato tra Carroccio e FdI. E poi perché se il contenitore anti-sinistra vuole governare è complicato possa farlo con Fratelli d’Italia forza trainante e gli altri a fare ruote di scorta. Per gestire il Pnrr occorre un raccordo forte con la Ue che Meloni non sembra essere in grado di garantire, e serve anche una fisionomia di premiership che fatica ad adattarsi ai contorni di una destra radicale.

La rabbia di Georgia sembra possa scatenarsi con una ritorsione sulle alleanze per le amministrative: sarebbe una sorta di harakiri non così facile da spiegare agli elettori. Tuttavia è sicuro che tanti inciampi possono provocare un ruzzolone. Il banco di prova non saranno le prossime sfide elettorali nelle città e regioni: sarà l’elezione del nuovo capo dello Stato.

Sullo sfondo, si staglia la possibile rielezione di Mattarella. Ma se quell’opzione non va in porto, resta e risalta che per la prima volta, numeri alla mano, non sarà possibile eleggere un presidente della Repubblica con i soli voti della sinistra, seppur allargata al centro. Bisognerà coinvolgere il centro destra, e Matteo Renzi già sta facendo da battistrada su questo percorso. Il quale centrodestra avrebbe una forza d’urto oggettivamente maggiore se si presentasse unito attorno ad una candidatura condivisa.

È ovvio che se continua così, al di là delle negative conseguenze sugli equilibri governativi della maggioranza prossima futura, l’unità di schieramento diventa una chimera. Il che spingerebbe Salvini e Berlusconi a giocare in proprio, isolando FdI e cercando una qualche forma di intesa con Letta. Strada tortuosa e perigliosa ma che potrebbe diventare obbligata. Se così fosse, cosa resterebbe dell’aggregazione inventata cinque lustri fa da Berlusconi e già scossa alle fondamenta all’inizio della legislatura quando Salvini abbandonò la trincea elettorale fino a quel punto difesa per allearsi con l’M5S di Di Maio e Conte?

Forse poco, forse addirittura niente. Il che significherebbe che la stramba maggioranza di adesso potrebbe, sotto la guida di Draghi ancora a palazzo Chigi oppure da lui diretta dal Quirinale, proseguire la sua marcia, seppur dovendo scontare i costrittivi riassestamenti a sinistra.

Scenari ancora prematuri. E tuttavia in corso di formazione. Le attuali principali leadership: Meloni, Salvini, Letta e Conte nella partita del Quirinale si giocano l’osso del collo delle loro capacità e credibilità. Il pericolo è che senza una regia almeno minima, la riunione dei Grandi elettori all’inizio del prossimo anno diventi un terremoto. In quel caso, quelle attuali sono solo scosse di avvertimento.

Gli effetti della frattura Salvini-Meloni sul voto per il Quirinale. Il mosaico di Fusi

La questione della Rai è solo una scossa rispetto al terremoto politico che potrebbe scatenarsi a febbraio. Tra Lega e FdI si allarga la distanza, anche nel rapporto con l’Europa e nella capacità di schierare figure di governo. Meloni, Salvini, Letta e Conte nell’elezione del Presidente della Repubblica si giocheranno l’osso del collo

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