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C’è un errore che più di tutti gli altri l’Italia non dovrebbe commettere in questi mesi di lotta senza quartiere alla pandemia: fare del Pnrr la soluzione a tutti i mali, compresi quelli strutturali dell’economia italiana. Il Recovery Plan, da qualche giorno sul tavolo di Ursula von der Leyen, genererà sicuramente una spinta non indifferente al nostro Pil, ma verrà un momento in cui le cartucce finiranno e allora l’Italia sarà sola e per giunta dinnanzi a tre problemi e con un debito al 160%.

Tanto per cominciare, l’enorme liquidità immessa nel sistema dal piano pandemico e dagli stimoli monetari della Bce (tassi bassi, dunque costo del denaro calmierato), prima o poi alimenteranno una ripresa dell’inflazione. Secondo, il tanto temuto Patto di Stabilità tornerà, verosimilmente nel 2023. Non quello stringente e vincolante che ben conosciamo e ormai accantonato, ma nemmeno deficit fuori controllo per tutti. Terzo, il  Quantitative easing della Bce, sia perché dura da troppo tempo (2015) sia perché ci si avvicina all’obiettivo di inflazione al 2%, terminerà. E allora? Sarebbe meglio giocarsi al meglio le carte, e non dimenticare che bisognerà fare del Pil non solo con e grazie agli aiuti dell’Ue. Formiche.net ne ha parlato con Vincenzo Visco, economista, animatore del Centro studi Nens ed ex ministro delle Finanze nei governi Prodi I e D’Alema e del Tesoro nell’esecutivo Amato.

Visco, presto o tardi la pandemia finirà e con essa gli aiuti e gli stimoli dell’Ue e della Bce. E allora l’Italia dovrà stare sulle sue gambe da sola. Dobbiamo preoccuparci?

Certamente gli aiuti finiscono a un certo punto e finiscono per definizione. Ora l’Italia ha la possibilità di spendere questi soldi e mi auguro che lo faccia bene. Ma quando i soldi finiranno, ci saranno due strade: o camminare da sola o riproporre un nuovo Recovery Fund. Questa seconda opzione dipenderà dalla volontà dell’Ue di competere seriamente con Usa e Cina, senza limitarsi a smaltire il benessere del passato. Questo è un problema politico ancor prima che economico.

Supponiamo che il Recovery Fund sia una tantum e non replicabile…

L’Italia ha un problema. E cioè che da anni non fa investimenti come dovrebbe. Ha una carenza di produttività enorme. E allora, se l’operazione Pnrr riesce, ovvero si spendono bene i fondi che ci dà o presta l’Europa nel mentre che i tassi rimangono bassi, la sostenibilità del nostro debito non è un problema. Ma se questo non accade, allora il debito pubblico diventa un problema. Per questo motivo sarebbe saggio cominciare subito a crescere.

Ciclicamente si è parlato della possibilità di sterilizzare il debito pandemico in pancia alle banche centrali, Bce in testa. Lei che dice?

Quel debito finché sta lì è come se non ci fosse, come se fosse cancellato. Ma anche qui bisogna fare attenzione. Perché se la Bce decide di tenerlo così com’è nella sua pancia allora va bene, altrimenti sono dolori per tutti. Quello che davvero non deve accadere è un ritorno prepotente dell’austerità, qualcosa di aberrante, sia dal punto di vista economico sia sociale. Nella sostanza, ci sono una serie di variabili alle quali l’Italia è molto esposta. Se le cose vanno in un senso allora ci si salva, altrimenti bisogna tornare a lottare.

Parliamo del Pnrr targato Mario Draghi. C’è qualcosa che non la convince?

C’è un tema legato alla spesa corrente, che dovrà aumentare in modo permanente. Se io voglio realizzare ospedali, scuole, asili o semplicemente riforme come la giustizia, ho bisogno di assumere personale e questo ha un costo. Medici, maestri, cancellieri, esperti di tecnologia. Ecco questa è una grande spesa a cui l’Italia dovrà necessariamente fare fronte, semplicemente per realizzare quanto previsto dal Pnrr.

Non le sembra un cane che si morde la coda? Spesa corrente fa rima con deficit…

Lo è. Ed è per questo che dico di stare attenti, che non è tutto rose e fiori. Servono delle contromisure per far fronte a questo inevitabile aumento della spesa corrente. La gente è convinta che bisogna solo ridurre le tasse, ma questa è una costante un po’ demenziale. Qui serve una terapia d’urto per sostenere la spesa, una seria e vera lotta all’evasione fiscale. Dobbiamo ricominciare a ragionare sull’evasione e sull’efficienza della spesa pubblica.

Sembra una sorta di trappola. Per investire e raggiungere gli obiettivi occorre spendere di più, dunque fare ancora deficit…

In parte lo è. Questo è un Paese che ci ha abituato a sacrificare la ricerca, l’università, la scuola e persino la sanità pur di non alzare le tasse. Mettiamocelo bene in testa, con il Pnrr l’Italia non ha l’autopilota, bisogna gestirlo. C’è da gestire la spesa corrente ad esso annessa e la fine, probabile, di certi aiuti da parte dell’Europa.

Il Pnrr non è un dividendo perpetuo. Qualche consiglio?

Far durare il più possibile nel tempo la crescita innescata nei prossimi mesi dal Recovery Plan. Perché se cresceremo, se non altro non avremo bisogno di alzare le tasse, stringere sull’evasione o, peggio, fare nuovo deficit per sostenere la spesa. E dovremo crescere non contando per tutta la vita sul sostegno di Bruxelles.

Non di solo Pnrr può vivere l'Italia. Gli errori da non ripetere secondo Visco

Intervista all’economista ed ex ministro delle Finanze e del Tesoro: presto o tardi gli aiuti dell’Ue e gli stimoli della Bce cesseranno e l’Italia dovrà camminare sulle sue gambe. Il Pnrr non è tutte rose e fiori, riforme e cantieri costano e se non si fa Pil la spesa corrente torna a essere un problema. E comunque sarebbe ora di rimettere al centro la lotta all’evasione

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