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Un grande piano per unire assieme tre colossi del petrolio, creando un’entità unica che sarebbe stata la seconda più grande al mondo nelle dimensioni, surclassata solo dalla saudita Aramco, con capacità di produzione tre volte superiori a quella dell’americana Exxon, e capace di amplificar enormemente le entrate delle casse russe. Dietro questo piano, rivelato pochi giorni fa dal Wall Street Journal, c’è la mente di Sergei Tsivilev, marito di una cugina di primo piano del Presidente della Federazione Russa Vladimir Putin che il leader del Cremlino ha nominato vice ministro della Difesa a giugno di quest’anno (all’interno di un più ampio rimpasto incentrato principalmente proprio sul dicastero della Difesa). Poche settimane prima della promozione della moglie lo stesso Tsivilev, dopo una carriera di sei anni alla guida dell’oblast siberiano di Kemerovo in cui ha sfruttato la ricchezza carbonifera del territorio per costruire un proprio patrimonio personale, è stato nominato alla guida del Ministero dell’Energia. E durante il primo incontro faccia a faccia con il leader del Cremlino in qualità di ministro, Tsivilev avrebbe descritto a Putin il suo piano. Ottenendo come risposta dal leader moscovita, secondo una persona al corrente dei fatti interpellata dal Financial Times, un “ci penseremo” interpretabile come un esempio del suo solito approccio per rimanere al di sopra della mischia e osservare cosa succede.

Il tema del controllo ministeriale sui grandi enti energetici russi non è certo una novità. I funzionari energetici del Cremlino hanno espresso a lungo frustrazione per il controllo limitato del ministero sulle compagnie petrolifere che, pur essendo molto legate alla figura del presidente russo tramite la nomina ai vertici di queste entità di personaggi fedeli a Putin come Igor Sechin e Alexei Miller, operano in modo piuttosto indipendente rispetto all’apparato burocratico statale. Secondo uno dei leitmotiv del sistema di potere putiniano.

Nei piani di Tsivilev, la statalizzata Rosneft Oil avrebbe inglobato dentro di sé Gazprom Oil (sussidiaria petrolifera dell’omonimo colosso del gas) e Lukoil, creando un’entità unica su cui i burocrati dello Stato avrebbero esercitato un maggior controllo. E che avrebbe garantito a Mosca di assumere una diversa postura sul mercato internazionale: fonti anonime russe che hanno parlato con i giornalisti del Wsj sottolineano come l’entità immaginata da Tsivilev avrebbe avuto un maggior potere contrattuale con i clienti cinesi, indiani e non solo. Portando di conseguenza ad un aumento delle entrate nell’erario statale, entrate che il governo avrebbe potuto utilizzare per continuare a sostenere il suo sforzo bellico in Ucraina.

L’esistenza di questo piano è stata tuttavia negata dagli enti interessati. In un comunicato ufficiale rilasciato martedì 12 novembre, Rosneft ha dichiarato che questo leak fosse un tentativo di colpire politicamente il suo capo Sechin, specificando come assorbire Lukoil e Gazprom Oil “non avrebbe avuto alcun senso logico”. Lukoil e Gazprom hanno rifiutato di commentare sulla vicenda, così come ha fatto il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov.

Per il momento, dunque, non sembra che il gigante del petrolio russo prenderà presto vita. Anche perché un simile colosso rappresenterebbe un’eccezione alla logica del divide et impera perseguita da Putin sin dal suo arrivo al vertice della Federazione. Così tanto potere concentrato nelle mani di un solo individuo potrebbe essere un fattore di rischio. E allo Zar, questa cosa non piacerebbe.

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