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Si discute con insistenza sulla lealtà di Salvini e della Lega nel sostenere il governo Draghi. Carta stampata e informazione in genere scrutano quotidianamente l’orizzonte, per capire se il governo gode del convinto sostegno del Carroccio. Allo stato sembra che si stia dimostrando coerente con gli impegni assunti. Sarebbe però molto più interessante sapere con quale e quanta sincerità il Pd di Letta, nuovo segretario del partito, crede in Mario Draghi.

I comportamenti distaccati di importanti esponenti del Pd, compreso lo stesso Letta, ne sono la prova. Non a caso l’ex presidente del Consiglio, defenestrato da Renzi e da tutto il partito democratico nel 2014 e ora richiamato per disperazione, perché bisognoso di un’immagine nuova, come è costume tra i diessini dal 1996 in poi, negli incontri privati e con l’informazione in tante occasioni non ha mai mostrato pieno coinvolgimento sulle scelte governative del già presidente della Bce. Affermazioni rituali, dichiarazioni dovute ma niente di più.

La vicenda che più ha destato meraviglia è stata quella di Erdogan: se è un dittatore o meno. Letta di fronte al preciso quesito ha risposto che tecnicamente il presidente turco non è un dittatore, ma un autocrate, prendendo le distanze da Draghi. Tutti sanno che Erdogan tecnicamente non è un dittatore, non ci voleva Letta per ricordarlo, ma nella sostanza… lo è. Il Pd voleva il Conte III,  perché sapeva di non reggere troppo la forza del prof. Draghi. La durata della legislatura viaggia col retropensiero che l’attuale governo sia solo una parentesi necessaria, ma poi i giochi saranno riaperti dagli attuali partiti, anche se sconquassati. Campa cavallo…! Proseguire, come Letta pensa, l’esperienza del governo Draghi fino al 2023 significa tagliarlo fuori per la presidenza della Repubblica. Immagina forse una prorogatio per il presidente Mattarella per permettere l’elezione al Colle di Draghi?

Sembra che l’allievo prodiano dell’Arel sia tornato nel Pd per confondere le idee, più che chiarirle a sé stesso e al suo partito. Pare che stia “lavorando per il re di Prussia”, ponendo altra zavorra sulle spalle di un partito azzoppato, confuso che vive solo per la conservazione dei benefici del potere. Emblematica è la vicenda delle primarie. A Napoli non si fanno, a Roma sì, nelle altre città non si sa. Quale criterio cosiddetto flessibile, secondo Letta, va applicato per scegliere i candidati sindaci nelle grandi città? Quando è democrazia diretta e quando no, bisogna decidersi. Un dato significativo è emerso dalla sua relazione ufficiale di insediamento alla segreteria del Pd. L’attenzione si è soffermata sul voto ai sedicenni e lo ius soli, sul riconoscimento del ruolo delle donne nel partito e nelle istituzioni, sul ritorno al maggioritario come sistema elettorale. Siamo al 1996 o al 2021?

Le responsabilità di questa crisi in Italia di chi sono? Pci, Pds, Ds, Pd ricordano qualcosa? Ppi, Asinello, Margherita, Pd che pensano? Letta dove è stato in tutto questo tempo con Prodi, Parisi, Bindi? Dimentica che è stato classe dirigente di questo Paese ai massimi livelli? E oggi viene a proporre di portare indietro l’orologio della storia per garantire ancora i privilegi del potere ai suoi compagni? L’Italia vive un dramma, una pandemia spaventosa: problemi infiniti che si chiamano povertà, disoccupazione, soprattutto al Sud, insufficienze sanitarie, precarietà scolastica, crisi delle piccole e medie imprese, commercio con l’acqua alla gola, solo per citare alcuni punti, e Letta viene a riproporre una minestra riscaldata dei giorni peggiori?

C’è la consapevolezza che il Pd con tali prospettive non sarà mai partito guida della sinistra.

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