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Qualcuno dice che con Mario Draghi sia giunta l’ora del liberismo. In sostanza, dopo che per un secolo l’Italia non ha quasi conosciuto politiche improntate al liberalismo economico (non così fu nell’Italia postrisorgimentale e ancora nei primissimi anni del fascismo col ministro de’ Stefani), oggi l’aria sarebbe finalmente cambiata: dopo aver messo in sicurezza sanitaria il Paese, ora il nuovo inquilino di Palazzo Chigi si appresterebbe a somministrare al “malato” (il Paese ormai più non cresce da decenni) questa “cura da cavallo” che invano tentarono gli Einaudi, gli Sturzo e i de Gasperi.

Certo, a parte il fatto che è difficile vedere Draghi nei panni di Margaret Thatcher (è dopo tutto un uomo di mediazione e molto meno divisivo della Lady di ferro), sarebbe un ben strano paradosso per una legislatura che era cominciata sotto il segno opposto, cioè quello dell’assistenzialismo (e direi paternalismo) di Stato e dei sussidi e “redditi di cittadinanza” a pioggia e prescindere! Che comunque qualcosa di vero ci sia, è innegabile, a mio avviso, e non per altro perché i programmi europei, per non arenarsi nella solita palude italiana e dare i frutti sperati, esigono lo sfoltimento e la semplificazione della macchina statale e politiche atte a stimolare la concorrenza e l’intraprendenza delle imprese private.

Ma il liberismo farebbe bene all’Italia, o è una piaga da evitare assolutamente come credono ancora oggi molte forze politiche, e non solo di sinistra? Credo che prima di discutere di consulenti, task force, ecc., come fanno i giornali, sarebbe opportuno che l’opinione pubblica si ponga questa domanda. L’auspicio è che, indipendentemente dai nomi degli “ispiratori” che circolano (quasi che Draghi non sappia da solo quel che è giusto), ci sia nella società, voglio dire, un’aperta e franca discussione, non ideologica, che accompagni eventualmente le scelte del presidente del consiglio.

Prima di tutto, una domanda sorge spontanea: perché tanti liberali non amano definirsi liberisti? Non dovrebbe legarsi il liberalismo economico a quello politico come la parte al tutto? La risposta, per me, è molto semplice: il liberismo, che insiste su competizione e laissez faire, purtroppo è a grosso rischio di trasformarsi, nei suoi adepti, in una “teologia politica”, cioè in dogma che si vorrebbe addirittura inscritto nelle “leggi eterne” dell’economia e a quel bisognerebbe semplicemente adeguarsi. Non esiste, infatti, solo una teologia politica socialista, nazionalista, e via dicendo, ma anche liberale. Il che è una contraddizione in termini, non avendo per principio il liberalismo “ricette” pronte all’uso e benefiche e atte a risolvere come d’incanto ogni problema.

Benedetto Croce, che pur era liberale, parlò già ai suoi tempi di “commessi viaggiatori del liberismo”, pronti a tirar fuori e “vendere” al miglior offerente le loro ricette salvifiche. Per fortuna oggi siamo tutti un po’ più scettici sulle “magnifiche sorti e progressive” dell’umanità, e anche della libertà abbiamo un concetto più tragico e realistico. Il liberismo, quindi, non può essere pensato come un Assoluto. Ma, detto ciò, la domanda che allora si pone è questa: in questo momento storico, in questa situazione precisa, farebbe bene o male una forte, seppur calibrata, dose di libero mercato e laissez faire al sistema Italia?

Posta così la questione, mi sembra che non ci siano dubbi sulla risposta: con un Paese fermo, con gli investitori che non degnano di attenzione l’Italia, con politiche redistributive che distribuisco fette di torta sempre più piccole, con gli spiriti vitali imprenditoriali che vengono continuamente castrati e vessati da una tassazione eccessiva, il destino, se non si agisce in senso liberistico, sarà inevitabilmente segnato. Poiché Draghi è un pragmatico, queste cose le sa molto bene. Così come sa molto bene che in Italia esse sono impopolari, e che il rischio è che, se non vengono presentate in un certo modo e discusse con onestà intellettuale, rischiano di non avere il necessario supporto democratico.

Ultrà liberisti a Palazzo Chigi? Non direi, l’ultrà è un fanatico, dopo tutto, e Draghi è invece un moderato. Direi semplicemente liberali nell’ordine di idee di quel liberalismo sociale di mercato, o ordoliberismo, a cui dopo tutto il nostro presidente del Consiglio sembra essere vicino molto più che al keynesismo a cui pure qualcuno vorrebbe annetterlo. Così come è evidente che, più che al liberismo della grossa finanza, globale e senza frontiere, a cui qualcuno lo voleva asservito, egli pensi al liberismo dell’intrapresa e del coraggio di tanti piccoli e grandi imprenditori, dei tanti italiani che vogliono farsi da sé e misurarsi. Cioè di coloro che dovrebbero immettere benzina nel motore nazionale per farlo ripartire.

È l’ora del liberismo. E Draghi questo (forse) lo sa. La bussola di Ocone

Ma il liberismo farebbe bene all’Italia, o è una piaga da evitare assolutamente come credono ancora oggi molte forze politiche, e non solo di sinistra? Credo che prima di discutere di consulenti, task force, ecc., come fanno i giornali, sarebbe opportuno che l’opinione pubblica si ponga questa domanda. La bussola di Corrado Ocone

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