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Nel giro di pochi giorni il mondo dell’energia ha subito alcuni scossoni che raccontano quanto la transizione energetica sia una necessità prioritaria. Messaggio che il primo ministro libico, Abdelhamid Dabaiba, ha il compito di raccogliere anche con l’aiuto italiano. E l’incontro col presidente del Consiglio, Mario Draghi, diventa in questo un potenziale passaggio importante.

Un quadro prima di andare avanti. Nell’ultima settimana, la Shell ha ricevuto l’ordine da parte di una corte olandese di accelerare la riduzione delle emissioni programmata; obiettivo un taglio delle per il 2030 dal 20 al 45 per cento (25 punti in più rispetto al 2019). Poi la dirigenza di Exxon è uscita abbozzata dal voto degli azionisti sul parziale rinnovo del consiglio d’amministrazione: due nuovi membri sono entrati nel CdA come espressione di fondi attivisti (comunque coperti da Black Rock) che intendono spostare il riluttante gigante di Irving verso una traiettoria di maggiore sostenibilità. Infine gli shareholders di Chevron hanno votato per chiedere che l’azienda non solo riduca le proprie emissioni, ma si faccia carico di avanzare la richiesta anche a coloro che ne utilizzano i prodotti.

Sono segnali chiari verso un’accelerazione, uno scatto: la transizione energetica è in corso, il mondo si sta decarbonizzando. E, tornando al dossier libico, la sfida di fondo sulla stabilizzazione in corso riguarda il darsi slancio verso questa traiettoria. Per non far essere la Libia solo un’entità geografica, seppure strategica e geopoliticamente avvantaggiata, serve che Tripoli pensi al futuro del suo paese e dei suoi cittadini. Aspetto su cui si gioca anche la partita politica interna, chiaramente. In questo contesto, ciò che preoccupa maggiormente è che i tempi della politica e della geopolitica libiche sono pericolosamente fuori sincrono non tanto con la generica necessità di trovare quanto prima un assetto istituzionale stabile, quanto piuttosto con la velocità impressa dagli stakeholders delle energy companies e dei petrostates al processo di transizione; in altre parole, raggiunta la tanto agognata stabilità istituzionale, l’ex colonia italiana potrebbe ritrovarsi senza un’economia.

Non a caso a Roma, nella prima missione in Europa del politico e imprenditore di Misurata, saranno discusse anche forme di partenariato nel settore della transizione energetica, dove l’innovazione tecnologica e know-how italiano saranno un valore aggiunto per la Libia che subito potrà continuare a contare sulle ricche riserve di idrocarburi, ma che altrettanto presto dovrà pensare a preparasi al mondo che verrà.

Si parla di un accordo di lungo termine (un MuO) che potrebbe riguardare nello specifico la realizzazione di impianti per la produzione di energia solare nel Fezzan, la regione della Libia sud-occidentale prevalentemente desertica, ricca di risorse naturali, e all’interno della quale l’Italia sta aprendo un consolato. In largo, il discorso è già stato discusso da Eni (durante una visita dell’Ad Claudio Descalzi a Tripoli) e su cui anche Enel sarà della partita.

Per i libici è una necessità anche dal punto di vista economico-finanziario. Le grandi strutture come il fondo di investimento LIA re-investono i proventi del greggio, e occorre già tracciare il progetto per ciò che verrà, onde evitare una svendita degli assets, magari a valori inferiori ai prezzi di carico, per far fronte alle probabili crisi di liquidità. E lo stesso vale per la Central Bank, perché il depauperamento o la mancata ricostituzione delle riserve di hard currency, stante la rapidità con la quale le crisi finanziarie normalmente colpiscono, portano immediatamente a una crisi monetaria e a fenomeni inflattivi difficilmente controllabili.

E inoltre, allinearsi sul Green mood globale sarebbe per la Libi occasione per rafforzare — con partnership e allineamento nel flusso — la fase in corso e lanciarsi nella successiva, ossia quella che seguirà le elezioni del 24 dicembre. Di più: avviare un processo verso la transizione energetica per Tripoli ha un valore geopolitico in sé, seguendo un trend su cui per primi gli Stati Uniti e Unione europea hanno anche ingaggiato il confronto contro i rivali strategici (Russia e Cina) più vincolati agli idrocarburi.

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