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La vera notizia nello “scontro australiano” sulla proposta di legge dell’Australian Competition and Consumer Commission, la massima autorità del Paese in materia di concorrenza, affinché sia Facebook che Google negozino e compensino gli editori per i contenuti che appaiono sui loro siti, è la frattura nelle strategie tra le due principali Big Tech mondiali.

Facebook e Google hanno visto la legislazione proposta come un precedente preoccupante e da mesi si scontrano con gli editori e i legislatori attraverso una fortissima azione di lobbying per evitare che la legge australiana sia per loro troppo stringente. Ma poche ore fa è accaduto il vero fatto nuovo.

Google ha comunicato di aver raggiunto un accordo globale di tre anni con News Corp di Rupert Murdoch per pagare il contenuto delle notizie dell’editore dichiarando, inoltre, di voler aiutare gli editori e auspicando nuove partnership in futuro. Subito dopo Facebook ha preso la decisione di limitare la condivisione e la visualizzazione dei link di notizie dichiarando che la legge proposta sostanzialmente fraintende il rapporto tra la sua piattaforma e gli editori che la usano per condividere contenuti di notizie.

Questo episodio, ai nostri occhi, offre un’ulteriore evidenza del fatto che ogni volta che parliamo di digitale l’esigenza non è solo e tanto quella di portare il digitale nella realtà ma, soprattutto, di portare la realtà nel mondo digitale.

Dopo gli anni del “Far West”, voluti e serviti a far pienamente decollare la Digital Economy, in generale dovrebbe valere il principio che adesso occorre andare nella direzione di accordi internazionali sulla governance di Internet, per renderla al servizio dei cittadini e di tutte le imprese di mercato e non il contrario.

Su questo l’Unione Europea si può e deve candidare ad avere il ruolo di leadership mondiale. Non è un caso, infatti, che Facebook e Google abbiano trattato gli editori di notizie più o meno allo stesso modo fino a poco tempo fa. Ma la “realtà” ha bussato alla loro porta fisica contrapponendo i miliardi di dollari ed euro raccolti con la pubblicità digitale al costante declino dei costruttori di notizie qualificate, che di gran parte di quella pubblicità hanno subito il drenaggio.

Alla luce di quanto sta accadendo dall’altra parte del mondo possiamo desumere che la notizia diviene oggi un prodotto necessario per Google, che si occupa di organizzare e fornire le informazioni e un ‘prodotto non necessario’ per Facebook, che è disposta a sacrificarla sull’altare di foto, opinioni personali, ecc… sollevando, come ha dichiarato il ministro australiano delle comunicazioni, domande sulla credibilità delle informazioni che gireranno sulla piattaforma.

La strategia di Google viene da lontano ma non si era ancora pienamente e necessariamente esplicitata a fronte di una legislazione vincolante. Sono recenti, infatti, gli accordi con il Financial Times e la Reuters, così come l’impegno preso nel 2020 a pagare 1 miliardo di dollari in diritti di licenza in tre anni agli editori per i contenuti presenti nei propri sistemi.

Per Facebook, la posizione è unilaterale, il managing director di Facebook Australia ha dichiarato che il social ha ampiamente aiutato l’industria dei media, che il differenziale di valore è a vantaggio di questi ultimi (sostenendo che l’anno scorso Facebook ha generato circa 5,1 miliardi di riferimenti gratuiti agli editori australiani per un valore stimato di AU$407 milioni) e che oggi gli editori non sarebbero in grado di aumentare le loro entrate senza il loro supporto.

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