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Dopo gli allarmi, la riforma. Di quelle che non passano certo inosservate. La Cina continua a fare i conti con una crisi finanziaria strisciante, non conclamata ma con sintomi ben presenti tra le maglie della seconda economia del mondo. Deficit alle stelle (3,6%, in discesa al 3,2% a fine anno), un Pil al 6% ben al di sotto delle reali potenzialità dell’ex Celeste Impero, un settore immobiliare a rischio detonazione e una Via della Seta in progressivo smottamento, sponda africana su tutte a causa dell’insolvenza verso Pechino di molti governi, complice la natura aggressiva e opaca dei prestiti concessi. Ma soprattutto un debito sempre più pesante, che piano piano sta permeando i settori vitali dell’economia cinese: le grandi banche statali, l’industria pesante e persino i governi locali, i cui debiti hanno fermato non pochi cantieri.

Adesso, dopo settimane di allarmi più ufficiali che ufficiosi (qui l’ultimo l’articolo con il parere dell’economista Alberto Forchielli), a Pechino qualcuno ha deciso di prendere in mano la situazione, prima che sia troppo tardi. L’imperativo sembra essere mettere in sicurezza le banche del Dragone, il cui capitale, messo insieme vale oltre 49 trilioni di dollari. E l’unico modo per farlo è aumentarne il patrimonio, affinché la possibile tempesta finanziaria non spazzi via tutto. Gli istituti presi in considerazione sono quelli di importanza sistemica, quelli cioè che più di tutte alimentano il sistema e al contempo possono trasmettere il contagio in caso di crisi del debito.

Tanto per cominciare, le banche considerate troppo grandi per fallire (come scordare il too big to fail) saranno suddivise in cinque categorie e dovranno sostenere un una ricapitalizzazione propedeutica all’irrobustimento del patrimonio di vigilanza: si va da un minimo di 0,25% a un massimo di 1,5%. Dunque, in arrivo robuste iniezioni di capitale in tutte le principali banche cinesi. Secondo step, la predisposizione di appositi piani in caso di sviluppi della crisi del debito. In particolare, la vigilanza bancaria cinese, mira a ottenere dagli istituti precise indicazioni per lo smaltimento delle sofferenze (che presso il sistema bancario cinese ammontano ancora a centinaia di miliardi).

Prima di tutto però, occorrerà tracciare una mappa degli istituti più sensibili, su cui intervenire senza indugio. Per questo le autorità cinesi hanno iniziato a valutare le banche di importanza sistemica misurando le attività dei 30 maggiori istituti di credito della nazione. Tra queste, la Industrial&Commercial Bank, la Bank of China, la China Construction Bank e la Agricultural Bank of China. Messe insieme devono trovare fino a 6,5 ​​trilioni di yuan (990 miliardi di dollari) entro il 2024 per soddisfare i requisiti patrimoniali globali progettati per proteggere il sistema finanziario da una crisi sovrana non certo remota. E non c’è molto tempo, come dimostra una certa fretta delle autorità: entro il 1 maggio i piani delle banche dovranno essere sul loro tavolo.

La Cina si attrezza per una crisi del debito. Aumenti di capitale a raffica nelle banche

Dopo settimane di allarmi, Pechino passa alla fase operativa e prova a mettere in sicurezza il sistema finanziario, prima che una crisi sovrana esploda: subito interventi sul patrimonio delle banche sistemiche e piani per fronteggiare tsunami di sofferenze

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