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Dal boom allo sboom? E se la febbre per le Spac stesse registrando i primi segni di raffreddamento? E pensare che, come raccontato a più riprese da Formiche.net, il 2021 si era aperto proprio all’insegna delle Special purpose acquisition company, le società ad alto tasso di liquidità che entrano nel capitale delle aziende dai grandi orizzonti per portarle in Borsa.

Tutto, fino a poche settimane fa, lasciava presagire a un 2021 ancora una volta sotto il segno delle Spac: nei primi due mesi dell’anno le Spac hanno raccolto 79,4 miliardi di dollari a livello globale, superando i 79 miliardi raccolti nell’intero 2020. Sul solo mercato americano nel 2020 sono state completate in totale 248 Spac, mentre nei primi cinque mesi del 2021, se ne contano già 325. Sul fronte europeo, sono 41 le Spac ad oggi ammesse sui mercati di Euronext, di cui 30 su Borsa Italiana.

E anche l’Italia ha piantato la sua bandierina nel mercato delle Spac, con Revo, l’iniziativa nel campo assicurativo promossa da Claudio Costamagna, ex Cdp e Goldman Sachs e Alberto Minali (qui l’intervista al ceo di Revo), manager scuola Generali e, più di recente, alla guida di Cattolica. Ora però, l’effervescenza sembra perdere qualche colpo.

Al punto che investire sulle Spac non sembra più andare di moda ultimamente. C’entrano le startup che si sono rivolte alle Spac per approdare sui listini. Le cose, ha rivelato il Wall Street Journal, non sarebbero andate come dovuto, in particolare in termini di fatturato e margini, rimasti ben al di sotto delle attese. Per questo, i ceo delle startup quotate grazie alle Spac, starebbero progressivamente voltando le spalle alle stesse società.

Nel contesto americano una serie di manager sono in preda allo scetticismo e propensi per questo a rifiutare le avances delle Spac per portare le aziende innovative a Wall Street. “Tantissimi amministratori stanno rifiutando le offerte di società di acquisizione, cancellando le loro e-mail premurose e frenando gli accordi per l’ingresso delle Spac nel capitale”, spiega una fonte consultata dal Wsj. Il problema sembra essere questo: molte startup sono state portate in Borsa dalle Spac pur non essendo pronte ad affrontare i listini, a causa di un business non ancora del tutto avviato. E le conseguenze di tale azzardo non hanno tardato a manifestarsi.

“La riluttanza è palpabile”, ha affermato Adam J. Epstein, economista e consulente di molte startup. “La Spac è passata dall’essere un percorso alternativo all’Ipo a un qualcosa di molto sopravvalutato”. Ci sono i numeri, ovviamente, a certificare questa crisi di fiducia. Secondo un rapporto della Silicon Valley Bank, delle startup che hanno completato una quotazione attraverso una Spac nel 2020, circa il 50% ha mancato le previsioni di fatturato e il 42% ha visto diminuire le proprie entrate.

Di più. Tra le 44 startup tecnologiche americane che hanno completato un accordo con le Spac e sono sbarcate in Borsa nei primi quattro mesi dell’anno si è registrato un crollo medio delle azioni del 12,6%, secondo i dati forniti da Minmo Gahng e Jay Ritter, ricercatori presso l’Università della Florida. Più della metà dei titoli tecnologici quotati con le Spac ha visto ridurre il valore delle azioni del 20%.

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