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Gli Stati Uniti “reimporranno le sanzioni a nove imprese statali bielorusse” e, “in coordinamento con la Ue ed altri partner e alleati, stanno sviluppando una lista di sanzioni mirate contro membri chiave del regime del presidente Aleksandr Lukashenko associati con gli attuali abusi dei diritti umani e la corruzione, la falsificazione delle presidenziali del 2020 e il dirottamento del volo Ryanair” – deviato dalla rotta Atene-Vilnius sotto la minaccia di un Mig-29 bielorusso, che ne ha imposto l’atterraggio dell’Airbus a Minsk, dove il Kgb ha arrestato il giornalista Roman Protasevich, noto perché pubblicamente esposto contro il regime del batka (con lui arrestata anche la fidanzata Sofia Sapega).

Il virgolettato sulle sanzioni americane arriva direttamente dalla Casa Bianca, condannando in particolare l’ultimo episodio, definito “un diretto affronto alle norme internazionali”. La dichiarazione è uscita nelle stesse ore in cui il presidente eterno bielorusso era a Sochi per incontrare Vladimir Putin, padre protettore della Russia Bianca e ormai per Minsk unico interlocutore (più che interessato perché punta a un’unificazione formale). La Bielorussia è sotto un isolamento diplomatico arrivato come conseguenza della repressione brutale con cui Lukashenko ha provato a soffocare le proteste di chi contestava il risultato della elezioni dell’agosto scorso – con cui s’è aggrappato al potere, nonostante una possibile sconfitta, la prima potenziale dal 1994.

Con Putin, il bielorusso può giocare una carta drastica: o un appoggio politico-diplomatico, oppure la perdita dell’influenza nel paese – cosa che chiaramente Putin non può permettersi. L’equilibrio tra i due è delicato, basta guardare alle parole con cui Lukashenko ha commentato il suo viaggio in Russia: “Solo degli idioti possono pensare che al giorno d’oggi possa esistere una servitù coloniale tra nazioni amiche, ecco perché qualunque tentativo di annessione di uno Stato verso l’altro sarà respinto in modo feroce”. Mosca sa che il batka gioca con la relazione, cerca di far pagare alla Russia le sue malefatte. Per questo Putin ha scelto una via intermedia.

Difesa dell’alleato di cui tecnicamente non può perdere il contatto, ma posizione terza su vicende come quella del volo Ryanair. Per il Cremlino, né le autorità aeronautiche né altri servizi o enti russi hanno niente a che fare con quanto avvenuto col volo Atene-Vilnius-Minsk, tanto da definire come una soluzione “positiva” la prospettiva di un’indagine dell’Organizzazione internazionale dell’aviazione civile (Icao).

La vicenda è stata forte: un caccia armato per dirottare un aereo civile (“un dirottamento di stato” lo hanno definito in tanti). Il Consiglio europeo – il cui presidente Charles Michel ha parlato di “scandalo internazionale” che ha messo a rischio la vita di civili – ha trovato una soluzione rapida, condannando quanto accaduto, chiedendo alle compagnie aree di evitare le rotte sopra alla Bielorussia e decidendo di adottare il più velocemente possibile nuove sanzioni nei confronti di persone ed enti collegati al regime di Lukashenko.

La presidente della Commissione Ursula von der Leyen, ha ricordato, per fare pressioni su Minsk, che “ci sono 3 miliardi di euro di investimenti pronti nell’Ue, congelati finché la Bielorussia non diventerà una democrazia”. Bruxelles sta valutando sanzioni settoriali ed economiche, individuando le esportazioni di cloruro di potassio e il transito del gas come potenziali obiettivi. Minsk commercia il 20% del cloruro di potassio nel mondo, e molto di questo finisce esportato attraverso i paesi baltici: il fertilizzante è un asset vitale per il paese.

L’Unione europea non può fare a meno che ordinare nuove sanzioni, anche in abbinamento con quelle statunitensi. D’altronde le nuove sanzioni porteranno la Bielorussia ancora di più verso Mosca. È una partita con poche chance per tutti i giocatori. Da un lato Putin e Lukashenko sembrano disinteressati a procedere secondo regole internazionali condivise, e questo perché hanno come obiettivo unico e ultimo il mantenimento del potere. Questione su cui, dall’altro lato, le democrazie occidentali unite da valori e regole condivise – che l’amministrazione Biden ha elevato a vettore delle relazioni transatlantiche – sono chiamate a rispondere.

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