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Come ricordato nell’intervista al Corriere della Sera dal nuovo premier, Abdelhamid Dabaida, per procedere con la stabilizzazione in corso in Libia è cruciale la riunificazione di strutture e istituazioni statali. Dabaida rivendica di essere riuscito a innescare dinamiche su tanti dossier spaccati da anni di guerra, e parla anche delle Forze armate. Passaggio complicato, che va dal costruire praticamente daccapo un contingente unito disarmando le milizie e attraverso i colloqui del meccanismo “5+5” guidato dall’Onu a Ginevra – contatto di diplomazia-militare tra Tripolitania e Cirenaica.

La questione è complicata, il capo dei ribelli dell’Est, Khalifa Haftar, vuole un ruolo. Marginalizzato dal voto al Foro, l’Onu ha recuperato il contatto con lui attraverso una visita dell’inviato Jan Kubis nel suo quartier generale vicino a Bengasi nei giorni scorsi. Tra gli argomenti del colloquio anche la questione Difesa, dove il miliziano dell’Est vorrebbe un suo fedele, ma tripolini e misuratini si oppongono.

Anche per questo le deleghe del dicastero per il momento sono restate in capo al premier. Mentre il nuovo Consiglio presidenziale, guidato da Muhammad Al-Menfi (Est), con Musa Al-Kuni (Sud) e Abdullah Al-Lafi (Ovest), ha (anche) il ruolo di “Comandante supremo delle forze armate”, ma le sue decisioni possono essere prese solo all’unanimità – in conformità a quanto prescritto dall’accordo politico onusiano.

È la prima volta dal 2014 che le tre regioni del Paese (Tripolitania, Cirenaica e Fezzan) possono trovare un accordo su un comandante in capo dell’esercito, ma attorno alla ricerca su chi affidare il comando (il ruolo di ministro della Difesa e di capo di stato maggiore) si sta cristallizzando un dibattito politico interno – con l’evidente rischio che possa diventare elemento di scontro.

Il Comitato militare congiunto – il 5+5 nato per garantire il cessate il fuoco che ha prodotto l’innesco del processo di stabilizzazione – sta attualmente lavorando per aprire la strada costiera tra Est e Ovest, dopo aver rimosso le mine nella regione centrale. Altro obiettivo su cui il Comitato trova il consenso di gran parte degli attori esterni attivi sul dossier – Onu, Ue, Usa e Nato – è il dover porre fine alla presenza di mercenari, come i mercenari russi Wagner e i sudanesi Janjaweed nell’Est e i combattenti siriani filo turchi nell’Ovest. C’è poi la questione dello scambio di prigionieri e detenuti.

Dalla formazione del Governo di Accordo Nazionale, nel 2016, l’esercito libico ha conosciuto due ministri della Difesa: Mahdi al-Baraghouthi (2016-2017) e Salah al-Din al-Namroush (2020-2021), oltre a quattro capi di stato maggiore. Leader nominati da un’autorità civile, rappresentata dall’ex presidente del Consiglio presidenziale Fayez al-Sarraj, e ma non riconosciuti dalla Cirenaica. Dal 2014 Haftar si definisce “comandante in capo dell’esercito”, guidando una milizia che si fa chiamare Esercito nazionale libico; l’organizzazione ha una sorta di capo di stato maggiore della sua forza, Abd al-Razzaq aln, e il governo ad interim dell’Est (non riconosciuto a livello internazionale) di Abdullah al-Thinni ha sempre avuto un ministero della Difesa. Queste posizioni sono le stesse da 8 anni.

Lo scenario attuale: il Capo di stato maggiore dell’ex governo onusiano Gna, il tenente generale misuratino Muhammad al-Haddad, si è impegnato al suo insediamento (settembre 2020) a lavorare per costruire l’unificazione dell’esercito libico e renderlo un esercito regolare e disciplinato superando le divisioni tra milizie. Ora, con la stabilizzazione in corso va trovata la quadra con Haftar, che ha cercato di controllare l’intero Paese con la forza armata dal 2014 e ha combattuto battaglie e guerre per guidare unilateralmente l’esercito e arrivare al controllo del Paese.

Dopo il voto del Foro, c’è stato un importante passo in avanti almeno nella retorica: il portavoce della milizia di Haftar, Ahmed Al-Mesmari, ha riconosciuto che il Consiglio presidenziale è il comandante supremo dell’esercito, dopo che Haftar ha rifiutato per anni di sottomettersi all’autorità civile. Il passo indietro può essere frutto delle minacce di sanzioni internazionali e delle Nazioni Unite contro coloro che ostacolano l’accordo politico, oltre che di una maggiore consapevolezza che la questione libica non si può risolvere con la forza.

Il punto sostanziale sta nel ritrovare una fiducia sepolta da anni di rovine belliche. Alcune componenti tripoline infatti non credono nell’atteggiamento remissivo di Haftar, e pensano che sia solo una fase tattica. A questo si uniscono operazioni in Cirenaica di chi pensa alla gestione del potere nel dopo-Haftar. In questi giorni è stata fatta circolare una foto in cui il generalissimo della Cirenaica viene ripreso mentre pianifica un’esercitazione con figli, genero e nipote. Il messaggio è chiaro: l’ala militare dell’Est è un affare di famiglia e non è trattabile la riunificazione senza includere (gli) Haftar.

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