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I dati dell’Istat incrociati con quelli delle procure ci consegnano un delitto consumato sulle donne sempre più in ascesa. Il 31,5% delle 16-70enni (6 milioni 788 mila) ha subìto nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale: il 20,2% (4 milioni 353 mila) ha subìto violenza fisica, il 21% (4 milioni 520 mila) violenza sessuale, il 5,4% (1 milione 157 mila) le forme più gravi della violenza sessuale come lo stupro (652 mila) e il tentato stupro (746 mila).

Ha subìto violenze fisiche o sessuali da partner o ex partner il 13,6% delle donne (2 milioni 800 mila), in particolare il 5,2% (855 mila) da partner attuale e il 18,9% (2 milioni 44 mila) dall’ex partner. La maggior parte delle donne che avevano un partner violento in passato lo hanno lasciato proprio a causa delle violenza subita (68,6%). In particolare, per il 41,7% è stata la causa principale per interrompere la relazione, per il 26,8% è stato un elemento importante della decisione. Sicuramente la giustizia ne ha preso atto e ne segna l’evoluzione e una importante sentenza della Cassazione ne segna l’evoluzione, poiché la tematica dei maltrattamenti in famiglia ha, negli ultimi anni sempre più coinvolto i tribunali e conseguentemente la giurisprudenza di leggitimità.

Sappiamo poi che i casi portati all’attenzione dell’organo giudicante rappresentano solamente una parte di quelli che accadono nella quotidianità e generano femminicidi portati a conoscenza dai media o un sommerso di difficile individuazione. Nella sua evoluzione il diritto penale, su impulso anche del legislatore europeo, ha superato il limite dell’art. 649 c.p. che prevedeva , qualora uno dei reati contenuti nel Libro II, Titolo XIII del codice penale fosse commesso in danno del coniuge, l’autore del reato poteva non essere punito, considerando non la famiglia nella sua globalità, bensì il singolo individuo che necessita di adeguata tutela e protezione.

Si sono inserite le numerose riforme volte a tutelare, all’interno del nucleo familiare, il soggetto più debole e bisognoso di una maggiore protezione. Riguardo i fenomeni di cd violenza assistita o indiretta comprensiva di quelle condotte che, pur non traducendosi in forme di violenza fisica direttamente rivolte, in particolare, a un soggetto vulnerabile, cagionino allo stesso sofferenze morali capaci di incidere in maniera negativa sulla sua integrità psico-fisica con l’art 572 cp.

La l. 15 ottobre 2013 n. 119 (c.d. legge sul femminicidio) ha introdotto all’art. 61, n. 11-quinquies c.p. una circostanza aggravante applicabile quando, nei delitti non colposi contro la vita e l’incolumità individuale, contro la libertà personale nonché in relazione al delitto di cui all’articolo 572 c.p., il fatto fosse commesso in presenza o in danno di un minore di anni diciotto ovvero in danno di persona in stato di gravidanza.

Una più incisiva modifica è arrivata con l. 19 luglio 2019, n. 69 – Tutela delle vittime di violenza domestica o di genere – c.d. codice rosso, che ha apportato delle consistenti modifiche al codice penale e al codice di procedura penale. L’art. 9 l. 69/19 interviene sui delitti di maltrattamenti contro familiari e conviventi e di atti persecutori, prevedendo l’aumento della pena per il delitto di maltrattamenti contro familiari e conviventi.

È inoltre prevista una fattispecie aggravata quando il delitto di maltrattamenti è commesso in presenza o in danno di minore, di donna in stato di gravidanza o di persona con disabilità, ovvero se il fatto è commesso con armi; in questi casi la pena è aumentata. Come noto, tali condotte vengono perpetrate all’interno dell’abitazione familiare o comunque nei confronti di un familiare o di un convivente cioè un soggetto con il quale sussiste una relazione affettiva o sentimentale abituale e consecutiva.

Proprio con riferimento a tale argomento si è recentemente pronunciata la Corte di Cassazione per ricorso presentato dal difensore dell’imputato contro la sentenza della Corte di Appello di Roma, che aveva riformato la decisione del Gup del Tribunale capitolino, riducendo la pena originariamente inflittagli per i delitti di cui agli artt. 572, 582 e 585, 609-ter c.p., c 1, n. 5-quater, e 609-bis c.p., commessi in danno della convivente. Nel motivo attinente ai maltrattamenti in famiglia il ricorrente deduceva la violazione di legge ed il vizio di motivazione, segnalando la insussistenza dell’elemento costitutivo della convivenza, evidenziando la differenza che sarebbe connessa all’accertamento di rapporti legali di coniugio ovvero di rapporti ad esso assimilabili, individuabili nelle diverse situazioni riconducibili alla c.d. famiglia di fatto.

Semplificando : poiché il ricorrente non sposato non è famiglia ma convivente non è perseguibile di alcune fattispecie di reato. La Corte confermando che il delitto di maltrattamenti presuppone una relazione tra agente e vittima caratterizzata da uno stabile rapporto di affidamento e solidarietà, e la condotta lesiva colpisce la dignità della persona, infrangendo un rapporto che dovrebbe essere ispirato a fiducia e condivisione,tale delitto è sicuramente configurabile anche al di fuori della famiglia legittima, in presenza di un rapporto di stabile convivenza.

Tuttavia tali argomentazioni, che ampliano ed estendono la tutela penalistica, presuppongono che la convivenza abbia raggiunto un livello minimo di stabilità e, soprattutto, di mutua solidarietà ma nel caso de quo tali elementi non erano ravvisabili poiché il ricorrente ha dimostrato che era venuto meno il presupposto della stabile convivenza e della conseguente solidarietà che da questa discende,e la Corte di Cassazione ha ritenuto che non possa configurarsi il delitto di maltrattamenti in famiglia in assenza di tali indifferibili presupposti. Una sentenza che comunque nel suo indiscutibile equilibrio mette in evidenza quanta difficoltà incontrano le donne vittime di violenza per farsi riconoscere i maltrattamenti subiti nei cavilli giurisprudenziali.

Violenza in famiglia. Un reato che si allarga a macchia d’olio

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