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Negli ultimi anni il presidente francese Emmanuel Macron si è contraddistinto in Europa per una certa assertività in politica estera. Se l’Ue arranca nella definizione di una “bussola comune”, lui va dritto per la sua strada: interventismo (vedi il Nord Africa), proposte di riforma della Nato, critiche durissime sui rapporti transatlantici, tassazione dei big tech Usa e via dicendo.

Con Londra fuori dai giochi, Joe Biden alla Casa Bianca (e Roma costretta alla finestra dalla crisi), l’asse Parigi-Berlino è diventato il trattore della politica estera comunitaria. Non che fra i due manchino divergenze.

Si era già notato dal botta e risposta tra Macron e Annegret Kramp-Karrembauer, ministra della difesa tedesca, lo scorso novembre. Il primo a favore dell’ “autonomia strategica” europea prima ancora dei rapporti transatlantici, la seconda a ribadire che “senza l’America,  l’Europa non può proteggersi”.

Il nuovo corso a Washington DC sembra però aver ridotto le distanze, tanto da far parlare gli esperti di “merkelizzazione” della dottrina Macron. Come se fosse in corso un “passaggio di testimone” tra i due, nota il senior fellow del Germal Marshall Fund e dell’European Council on Foreign Relations Andrew Small.

In una recente intervista all’Atlantic Council, prestigioso think tank statunitense, il presidente francese ha aggiustato il tiro. “La sovranità europea è davvero un’ottima notizia per la relazione transatlantica”, ha sottolineato, perché “non solo è compatibile con la Nato, è completamente coerente [con i suoi obiettivi]”.

Insomma, non è più vero per Monsieur le President che autonomia strategica europea e Nato siano alternative, anzi. È vero il contrario: favorendo una divisione degli oneri più equa, e bilanciando il peso americano nell’Alleanza, si può continuare a battere entrambe le strade. Una linea davvero non dissimile da quella prevalente a Berlino in queste settimane, a sentire gli ultimi discorsi pubblici della cancelliera Angela Merkel.

Olivier-Remy Bel, visiting fellow dell’Atlantic Council con un background nel ministero della difesa francese, parla della “evidente volontà di coinvolgere gli Stati Uniti sul concetto di Nato” nella sua breve analisi dell’intervista a Macron. Il presidente, nota l’esperto, sta “chiedendo più partecipazione americana, non meno”.

Sicuramente l’insediamento di Biden a Pennsylvania Avenue ha avuto la sua parte. Un cambio di paradigma. Donald Trump era solito parlare della Nato come “un costo” per gli Stati Uniti e porre gli alleati di fronte un aut-aut: o si spende di più, o l’America ritira le sue truppe (vedi in Germania). Biden, e così il suo suo segretario di Stato Anthony Blinken, profondo conoscitore dell’Europa e formatosi a Parigi, rimette al centro l’alleanza. E dunque il multilateralismo, come ha riassunto in una frase nel suo primo “Foreign policy speech” al Dipartimento di Stato: “America is back. La diplomazia è tornata al centro della [nostra] politica estera”.

Macron sembra aver colto il segnale e si sta riposizionando come interlocutore privilegiato del Vecchio Continente. E lo fa muovendosi, per quanto possibile, in linea con la Germania, altro partner di primissimo piano per questa amministrazione. “Per me la priorità massima nella relazione con la nuova amministrazione Usa, e nel lavoro tra Usa e Europa, è raggiungere un multilateralismo basato sui risultati”, ha detto nell’intervista.

Sulla sfida cinese l’allineamento sul “pragmatismo” tedesco è anche più evidente.  “La Cina,” ha detto Macron, “è sia un partner, sia un rivale sistemico”. Poi una postilla: è “inammissibile” porsi “come equidistanti tra Cina e Stati Uniti”.

Macron Merkel

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