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È evidente che nei prossimi giorni le posizioni dei partiti si preciseranno, profileranno, con sempre più chiarezza. E che certe rigidità e veti dell’oggi, siano o meno strumentali, saranno superati.

Una prima chiarificazione sembra sia venuta dalla riunione, svoltasi oggi, dei leader del centrodestra. Il fatto di presentarsi uniti dal capo dello Stato per le consultazioni avrà un forte valore simbolico, anche forse un impatto non indifferente sull’immaginario degli italiani (fra l’altro Antonio Tajani non credo che questa volta distrarrà l’attenzione con uno studiato e piccolo show alla Berlusconi all’uscita dal colloquio!). E ancor più lo avrà il fatto che nel gruppo ci sarà anche il rappresentane della piccola pattuglia dell’Udc. In sostanza, Giuseppe Conte non potrà contare, allo stato attuale dei fatti, né su una parte di possibili “responsabili” né su Forza Italia come sostituti di Italia Viva e del suo leader abbandonati al loro destino. Dovrà farsene una ragione, così come dovranno farsela Luigi Di Maio, Nicola Zingaretti e tutti gli altri che avevano solennemente giurato: “Mai più con Renzi!”. Ma si sa, in politica i giuramenti e le promesse sono meno attendibili di quelle che hanno corso fra i marinai.

Archiviata la “maggioranza Ursula”, il presidente del Consiglio ha una sola strada per tentare un Conte ter: ricucire con il secondo Matteo che si è trovato sul cammino in questa pazza legislatura che comunque passerà alla storia (Covid compreso) sotto il suo nome. Il prezzo sarà alto, ma comunque non ci sono alternative. Certo, per semplificare il tutto, Pd e Cinque Stelle potrebbero accordarsi su un nome diverso da quello di Conte. Ma è altamente improbabile che lo facciano, per tre motivi, in ordine crescente di improbabilità: concederebbero tutto a Renzi; il rischio che i Cinque Stelle implodano è troppo forte; difficilmente i piddini potrebbero accettare il nome di un grillino che dirige le danze (anche con l’Europa) e viceversa il partito di maggioranza nella coalizione difficilmente potrebbe fino al punto da premiare un rappresentante di quello di minoranza.

Tornando alla riunione del centrodestra di oggi, c’è un punto che resta sospeso: la richiesta di portare gli italiani alle urne è tattica o no? È cioè stata fatta dai leader con lo scopo di stanare gli altri protagonisti della commedia (anzi della “pantomima” come a ragione l’hanno chiamata) “all’italiana” che stiamo vivendo e che potenzialmente potrebbero essere interessati a quest’esito? Ad esempio, Zingaretti, che neutralizzerebbe definitivamente Renzi; o lo stesso Conte, che potrebbe crearsi una sua pattuglia più o meno “centrista” e più o meno “ago della bilancia” nei futuri equilibri? Chissà?

Certo, non si può dare torto al politologo Alessandro Campi che ha chiesto ai leader suddetti di andare dal Capo dello Stato con (o, direi io, anche con) una soluzione politica alternativa, anzi una soluzione politica tout court. Le elezioni restano infatti altamente improbabili, per motivi di politica non solo italiana come è chiaro. Nel caso che Mattarella escogiti una soluzione tecnica o semitecnica, istituzionale o presidenziale, che farebbe il centrodestra? Resterebbe unito? Direbbe no a priori, o proporrebbe un suo nome imponendo le sue condizioni?

In una parola: entrerebbe nel gioco, o continuerebbe fino alla fine della legislatura a fare testimonianza. “Nobile”, forse, per carità, ma pur sempre testimonianza è.

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La richiesta di portare gli italiani alle urne è tattica o no? È cioè stata fatta dai leader con lo scopo di stanare gli altri protagonisti della commedia (anzi della “pantomima” come a ragione l’hanno chiamata) “all’italiana” che stiamo vivendo e che potenzialmente potrebbero essere interessati a quest’esito? La bussola di Corrado Ocone

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