La materia è un punto dolente anche nelle relazioni dell’Italia con il resto dell’Unione europea (Ue). Ecco quali sono gli interventi prioritari
Altro capitolo del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr) a proposito del quale il Presidente del Consiglio ha dovuto mettere in gioco la propria faccia con la Presidente della Commissione europea prima che il documento venisse inviato all’esame del Parlamento, e quindi delle istituzioni comunitarie, è la riforma di contesto relativa alla giustizia.
Da anni, anzi da lustri, la materia è un punto dolente anche nelle relazioni dell’Italia con il resto dell’Unione europea (Ue): la lentezza dei processi, la “politicizzazione” (presunta o vera) di parte della magistratura, l’uso apparentemente eccessivo della reclusione preventiva ed altre inefficienze sono ritenute (a torto od a ragione) alcune delle determinanti che minano il buon funzionamento del sistema economico, scoraggiano gli investimenti diretti esteri in Italia ed inducono gli imprenditori italiani a trasferire le loro attività oltre-frontiera.
Le varie stesure del Pnrr hanno previsto notevoli risorse ingenti per la digitalizzazione dei processi, nuove assunzioni e formazione: circa 8 miliardi di euro, tenendo conto di voci (digitalizzazione che appaiono in altri capitoli). Nella prima stesura, firmato dall’allora Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, si affermava che la riforma della giustizia aveva come obiettivo quello di “ridurre il carico di lavoro dei magistrati” (sic!). Ora la proposta è più e meglio articolata.
Sin dall’Executive Summary si precisa che la riforma interviene sull’eccessiva durata dei processi e intende ridurre il forte peso degli arretrati giudiziari. Il Pnrr prevede assunzioni mirate e temporanee per eliminare il carico di casi pendenti e rafforza l’Ufficio del Processo. Sono previsti interventi di revisione del quadro normativo e procedurale, ad esempio un aumento del ricorso a procedure di mediazione e interventi di semplificazione sui diversi gradi del processo.
In particolare, all’interno del documento viene sottolineato il fondamentale problema che affligge la giustizia italiana, ovvero i tempi della celebrazione dei processi, ripetutamente rimarcati nelle competenti sedi europee.
Tutti gli interventi in materia di giustizia previsti dal Pnrr convergono, dunque, al comune scopo di riportare il processo italiano a un modello di efficienza e competitività. A tal fine, la riforma si snoda in alcuni ambiti di intervento prioritari:
– Interventi sull’organizzazione: ufficio del processo;
– Riforma del processo civile e Alternative Dispute Resolution (Adr);
– Riforma della giustizia tributaria;
– Riforma del processo penale;
– Riforma dell’Ordinamento giudiziario.
Il Pnrr inviato a Bruxelles indica una serie di scadenze entro le quali l’Italia si impegna a presentare in Parlamento e varare specifiche misure legislative. Questo era il tassello che mancava prima delle conversazioni telefoniche tra Mario Draghi ed Ursula von der Leyen. Sono “impegni” non suggerimenti: verranno monitorati ogni sei mesi prima di procedere all’erogazione dei finanziamenti. Rappresentato il “minimum minimarum” di quanto considerato indispensabile dalla Commissione europea che ha il compito di valutare le proposte italiane.
Lo riterrà sufficiente anche il Consiglio Europeo dei Capi di Stato e di Governo dell’Ue? Il Consiglio è l’organo deliberante in merito agli stanziamenti del Pnrr sia al decollo del Piano sia per l’erogazione delle rati semestrali.
A giudicare dalle eco sulla stampa tedesca, austriaca ed anche francese degli ultimi scandali relativi alla magistratura ed al suo Consiglio Superiore molti si chiedono perché in Italia, a differenza di come avviene in gran parte delle democrazie occidentali, non ci sia una netta separazione tra magistratura inquirente e magistratura giudicante con controlli tanto sulla prima quanto sulla seconda e penali in caso di gravi errori. È possibile che questo argomento appaia sul tavolo dove si decide il finanziamento del Pnrr.
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