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Nel dibattito sull’export di sistemi per la difesa, c’è un argomento che alcuni commentatori hanno già indicato, ma che è bene approfondire, ed è la valenza politica di queste operazioni, che vanno bene al di là dell’opportunità industriale e finanziaria di ogni singolo contratto, che pure non può essere trascurata, attesa la rilevanza dimensionale dei prodotti specifici.

Essendo la sicurezza dei cittadini, e quindi la difesa del territorio, una delle funzioni fondamentali di uno Stato, chi si affida a un fornitore per acquisire un sistema d’arma, lo fa non solo in base alla qualità del prodotto e ai costi connessi, ma anche, se non soprattutto, per i legami con il Paese fornitore, di cui deve essere attentamente valutata l’affidabilità politica e la stabilità, nonché la solidità di un rapporto bilaterale indispensabile per mantenere la continuità del supporto logistico.

Da queste considerazioni risulta evidente che una qualunque trattativa relativa alla vendita di un sistema d’arma e dei servizi a esso connessi non si può esaurire sul piano commerciale, e neppure su quello burocratico-legale, e deve in qualche modo coinvolgere il livello politico nella sua interezza e complessità.

Questi principi erano ben chiari al legislatore quando venne redatta la legge 185/90, che disciplina esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento: il controllo era infatti devoluto a un Comitato interministeriale, il Cisd, con il coinvolgimento anche del presidente del Consiglio, in quanto si riconosceva l’essenza politica delle decisioni in materia, che meritavano l’esame congiunto di Esteri, Difesa, Finanze, Tesoro, Interno e Industria. Purtroppo solo tre anni dopo, in ossequio alla volontà di evidenziare la funzione di indirizzo del livello politico, sottraendogli qualsiasi responsabilità di tipo amministrativo, il Cisd venne sciolto, devolvendo in seguito ogni attività a un ufficio del ministero degli Esteri, lo Uama, che non sorprendentemente agisce con criteri estremamente prudenziali, nel tentativo di evitare procedimenti giudiziari nei confronti dei funzionari. Ci troviamo dunque di fronte a una materia di interesse strategico gestita senza il coinvolgimento di chi a livello centrale dovrebbe fornire gli indirizzi politici, con la voce solitaria, e a volte scoordinata, del ministro degli Esteri.

Altri hanno già illustrato la valenza economica, tecnologica industriale del comparto, evidenziando anche come il mercato interno, tenuto conto della sostanziale mancata attuazione di un mercato comune europeo per i materiali d’armamento, sia insufficiente a garantire la sostenibilità e la redditività degli ingenti investimenti necessari. La ricerca di sbocchi per le esportazioni è infatti indispensabile per la sopravvivenza stessa del settore.

Qui però si vuole accennare a quanto una sana politica di esportazioni dei sistemi d’arma sia funzionale all’autorevolezza del Paese sullo scenario internazionale e si sottolinea l’aggettivo “sana”, che vuole indicare la necessità di un’attenta valutazione delle tecnologie da esportare, al fine di mantenere il gradino di vantaggio che consente di rendere durevole la competitività. “Sana” anche in relazione ai destinatari delle esportazioni, in modo da indirizzare le politiche di marketing verso Paesi con cui si ritiene necessario stringere legami di cooperazione in uno spazio che sia più ampio di quello meramente commerciale, a sostegno degli interessi del Paese, certo, ma anche della promozione delle politiche che si intende coerentemente sostenere.

Si è infatti influenti e si può esercitare una “moral suasion” nei confronti dei nostri interlocutori se si è credibili e affidabili, e se si hanno strumenti per suggerire autorevolmente indirizzi coerenti con i nostri valori, incluso lo strumento del controllo del supporto logistico, supporto indispensabile alla validità di uno degli strumenti fondamentali della sovranità nazionale, quello militare. In altre parole, se il Paese destinatario, per l’efficienza degli elementi-chiave delle proprie Forze armate, dipende in modo quasi esclusivo dalle forniture della nostra industria, la capacità di influire su quel Paese diventa reale e credibile.

Basterebbero queste considerazioni per rendere indispensabile il coinvolgimento di tutto il governo nelle politiche di esportazione dei materiali d’armamento, sottraendola ad emozioni del tutto comprensibili, ma il cui assecondamento si rivelerebbe certamente controproducente.

Per una "sana" politica di export della Difesa. Scrive il gen. Camporini

Una sana politica di esportazioni dei sistemi d’arma è funzionale all’autorevolezza del Paese sullo scenario internazionale. L’aggettivo “sana” vuole indicare la necessità di un’attenta valutazione delle tecnologie da esportare, al fine di mantenere il vantaggio che rende durevole la competitività. “Sana” anche in relazione ai destinatari delle esportazioni. Il commento del generale Vincenzo Camporini, consigliere scientifico Iai, già capo di Stato maggiore della Difesa

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