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A Parigi e a Berlino forse sono convinti che alla Casa Bianca ci sia ancora Donald Trump e che gli Stati Uniti continuino a essere scettici del multilateralismo.

È la sensazione che si può avere dopo la lettura dei comunicati diffusi alla conclusione dell’incontro a tre di questa mattina a cui hanno partecipato Emmanuel Macron,  Angela Merkel e il presidente cinese Xi Jinping (invitato dall’Eliseo). È la seconda volta, da quando si è insediato Joe Biden alla Casa Bianca, che il presidente francese e la cancelliera tedesca partecipano a un vertice video a tre: era già successo due settimane fa con il presidente russo Vladimir Putin per parlare di vaccino soprattutto ma anche di Ucraina e Iran.

È stato un “video summit”, riportano oggi le agenzie di stampa cinesi dopo che per tutta la giornata di ieri avevano approfittato dei silenzi francesi per dipingerlo come un “summit sul clima”. E si è tenuto proprio mentre John Kerry, inviato del presidente Biden per il clima, è in viaggio in Asia (a Shanghai e a Seul) per organizzare il summit mondiale della prossima settimana voluto dalla Casa Bianca e in vista della Cop26.

Dalle agenzie cinesi apprendiamo che i temi toccati sono stati quattro: il cambiamento climatico (con Pechino che ha criticato la carbon tax europea e che avrebbe incassato il sostegno di Parigi e Berlino per il suo impegno alla neutralità carbonica entro il 2060, dieci anni dopo gli obiettivi europeo e statunitense); i rapporti tra Cina e Unione europea (anche in materie come economia digitale e cybersecurity – sulle quali Berlino si aspetta coordinamento con Pechino –, barriere commerciali e transizione energetica); la sfida al Covid-19 (su cui il presidente Xi si oppone al “nazionalismo dei vaccini”); “importanti questioni internazionali e regionali” non meglio specificate. La nota della cancelliera tedesca è pressoché identica, anche nelle parole utilizzate.

Ma l’agenzia cinese Xinhua – che continua a definire la Cina come “il più grande Paese in via di sviluppo del mondo” – riporta qualche dettaglio in più. In particolare, si legge che la cancelliera Merkel ha promesso al presidente Xi l’impegno a “lavorare assieme verso la ratifica il prima possibile dell’accordo sugli investimenti tra Unione europea e Cina”, che molti europarlamentari criticano per i vaghi impegni assunti da Pechino contro il lavoro forzato.

Nel complesso, sembra che Xi stia cercando di sfidare l’approccio di Biden, deciso ad affrontare il clima come dossier urgente ma isolato dagli altri. Basti pensare che a fine gennaio, una settimana dopo l’inaugurazione della nuova amministrazione statunitense, l’inviato Kerry aveva tenuto una conferenza stampa alla Casa Bianca per spiegare che Stati Uniti e Cina devono affrontare quella del cambiamento climatico come una questione “critica” ma “a sé stante” e sottolineando che diritti umani e le pratiche commerciali sleali di Pechino “non saranno mai scambiate” con la cooperazione climatica.

In questo sforzo sembra che Xi abbia trovato sponde a Berlino e Parigi. Non soltanto i comunicati diffusi dopo il video summit non citano i diritti umani e le pratiche commerciali sleali di Pechino. E neppure sembrano essere stati scritti dopo le recenti tensioni tra Unione europea e Cina sullo Xinjiang, che pur hanno portato a sanzioni e contro-sanzioni.

Ma mentre i tre parlavano si registravano due fatti. Il primo: come rivelato dal South China Morning Post, i 27 Stati membri dell’Unione europea non hanno trovato un’intesa su una dichiarazione di condanna (che pur si preannunciava piuttosto debole) della riforma elettorale imposta dalla Cina su Hong Kong per escludere l’opposizione democratica. Pare sia stata l’Ungheria di Viktor Orbán a far saltare l’accordo durante l’ultimo incontro di preparazione del Comitato affari esteri di lunedì. E non è la prima volta che i 27 rinviano la decisione dopo l’ultima stretta di Pechino sull’ex colonia britannica.

Il secondo: nove attivisti e deputati pro democrazia di Hong Kong sono stati condannati per le proteste antigovernative del 2019 in base alla contesta legge sulla sicurezza nazionale, imposta da Pechino l’anno scorso, che ha reso di fatto impossibile ogni manifestazione di dissenso politico. Tra loro anche il magnate dell’editoria Jimmy Lai, condannato a 12 mesi di reclusione a Hong Kong per il suo ruolo nelle manifestazioni pro-democrazia nell’ex colonia britannica.

C’è chi, come la Lega, lamenta l’assenza dell’Unione europea al video summit odierno. E c’è chi sottolinea quelle di Regno Unito di Boris Johnson e Italia di Mario Draghi, i Paesi organizzatori della Cop26.

Ma quei mancati inviti non devono stupire. D’altronde, sono coerenti con lo sforzo di Pechino a non trattare il clima come un tema isolato e di portare avanti quel dialogo con Berlino in primis e Parigi che ha portato alla firma dell’accordo  sugli investimenti tra Unione europea e Cina alla fine dell’anno scorso.

Piuttosto, le assenze potrebbero rassicurare i sostenitori – europei e italiani – di una rinnovata sintonia transatlantica.

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