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Machiavelli diceva che le azioni dei politici, come quelle degli uomini in genere, sono condizionate metà dalla Virtù e metà dalla Fortuna, che vuol dire, tradotto nel nostro linguaggio, sia dalle capacità (il talento) sia dal caso. Il politico che il caso lo sa agguantare, approfittando del momento opportuno (il kairos degli antichi), è colui che spicca sugli altri. Finora la fortuna ha fin troppo baciato il nostro presidente del Consiglio (che per onestà intellettuale, va detto, ne ha saputo approfittare alla grande), ma ora sembra gli stia presentando i conti tutti in una volta.

In effetti, la crisi annunciata per un mese e poi effettivamente messa in pratica da Matteo Renzi con l’uscita della delegazione di Italia Viva dal governo, non si è conclusa, come era immaginabile, con la risicata fiducia ottenuta alle Camere da Giuseppe Conte all’inizio della scorsa settimana. Essa è continuata strisciante ed è finita ora, e questo non era invece immaginabile, in un cul de sac per il premier. Da una parte, il “mitico” Bruno Tabacci, “nominato” (si fa per dire) ministro ombra con delega speciale all’”acchiappa responsabili” (finalmente una “nomina” per pura competenza!), ha dovuto gettare la spugna verificando l’impermeabilità (almeno per ora) di singoli gruppi e gruppetti al centro (e al centro della destra).

Dall’altra, il caso (quanto si dice la Fortuna!) ha voluto che la prima “prova di fuoco” per l’esecutivo fosse la più ostica di tutte le possibili, quella concernente la relazione in Parlamento del ministro più controverso sull’argomento più controverso: Alfonso Bonafede sulla giustizia, in pratica sullo stato (in verità avanzato) delle sue riforme “giustizialiste” (a cominciare da quella abolizione della prescrizione che rischia di essere una forma moderna, o postmoderna, di tortura).

Detto in poche parole: la Dea Fortuna ha voluto nientemeno che il più ostinato dei grillini, ma anche il mentore di Conte e il ministro a lui più vicino, dovesse relazionare in senso giustizialista proprio nel momento in cui si cerca di aggregare alla maggioranza i più garantisti di tutti (anche più della destra che a volte dà l’impressione di esserlo a fasi alterne), e cioè quei “socialisti, liberali, riformisti”, in una parola “centristi”, a cui nella sua replica al Senato si è appellato Conte. E ciliegina sulla torta (quando le cose girano male non c’è fine al “peggio”!), puntuale è arrivato pure l’avviso di garanzia per il più corteggiato di tutti: il leader dell’Udc, Lorenzo Cesa.

Quanto a Renzi, che del garantismo ha fatto uno dei punti pregiudiziali per rientrare in campo, è davvero molto difficile che possa ora proprio su questo punto astenersi per rimandare ancora il redde rationem con l’odiato nemico. Né Bonafede è tipo da ammorbidire i toni e “mandare un segnale” su un tema, fra l’altro, identitario del Movimento (l’ultimo forse che è rimasto in piedi di un programma che si è realizzato quasi specularmente nel proprio contrario).

La strada delle dimissioni, con successivo reincarico, è ormai la più probabile per Conte, anzi direi quasi obbligata. L’unica speranza, fra l’altro, per lui, è di riuscire a tessere una tela con Renzi e arrivare ad una sorta di “pace armata”. In teoria, ci sarebbe anche la strada di una “maggioranza Ursula”, cioè con Forza Italia dentro, ma il prezzo per Berlusconi sarebbe troppo alto: rottura con i suoi partner di destra con ripercussione nei governi locali, probabile spaccatura del partito, rinuncia ai voti più sicuri in una eventuale sua corsa al Quirinale (che è sempre il suo desiderio recondito).

L’obiettivo di Berlusconi, che come Renzi alla fine non sarebbe agevolato dalle elezioni, è un “governo istituzionale” che porti dentro alla maggioranza (non al governo) anche la Lega (essenziale per non abbandonare il suo campo da gioco “naturale”). Tranne che per la prima ipotesi, per Conte difficilmente ci sarebbe una terza leadership. Quindi il gioco dell’oca ritorna al punto di partenza: chi cederà per primo, perdendo la faccia, fra Renzi e il premier?

Conte alla fine ha in subordine anche un’altra chance: correre alle elezioni, che sarebbero invece per il leader di Italia Viva deleterie. In questo sarebbe un oggettivo alleato della destra, ma è un’ipotesi che difficilmente sarà fatta passare dal Quirinale. In sostanza, si può dire che il sistema politico italiano sia definitivamente imploso. E nel momento peggiore. Non si poteva fare propria nulla per evitarlo?

Conte in un cul de sac (e l’Italia pure). La bussola di Ocone

La strada delle dimissioni, con successivo reincarico, è ormai la più probabile per Conte, anzi direi quasi obbligata. L’unica speranza, fra l’altro, per lui, è di riuscire a tessere una tela con Renzi e arrivare ad una sorta di “pace armata”. La bussola di Corrado Ocone

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