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“I polacchi tormentano dal cielo, dall’acqua e dalle profondità del Baltico”. È questa l’accusa sferrata da Gazprom, il colosso russo dell’energia con sede nel grattacielo Lachta-centr di San Pietroburgo, leader nella costruzione del Nord Stream 2; il ribattezzato “tubo della discordia” che da anni crea alleati e nemici sul fronte occidentale per il controllo dell’oro blu.

Circa venticinque anni fa, l’opera di undici miliardi di dollari, che ogni anno dovrebbe traghettare 55 miliardi di metri cubi di gas dalla Russia alla Germania, passando per il mar Baltico, comprende un contributo da parte del vecchio continente tramite il cofinanziamento di cinque società europee. I Paesi coinvolti nella realizzazione dell’infrastruttura sono: Francia, Germania, Olanda-Inghilterra (Shell), e il Bel Paese con Saipem.

Già dalla progettazione del primogenito Nord Stream, che beneficia dello status di “priority project” nel quadro delle Reti Transeuropee dell’Energia, i governi americani che si sono succeduti hanno prefigurato uno scenario nefasto, in cui a pagare il prezzo sarebbe proprio l’Europa.

Da Barack Obama a Donald Trump, fino ad arrivare all’attuale Presidente Joe Biden, l’opinione di Lady Usa non cambia: il Nord Stream, con il suo raddoppio, implica una crescente dipendenza di Berlino, e del resto dell’Unione Europea, dal gas russo. In termini geopolitici, il depotenziamento dell’Europa a vantaggio di Mosca va di default.

In questo momento l’Unione Europea si ritrova, come abitudine vuole, con le spalle al muro, tirata per la giacchetta da Washington (il segretario di stato americano Antony Blinken ha già posto l’aut-aut, minacciando sanzioni).

Ad ostacolare l’avanzata russa ci sono i soliti noti: i quattro di Visegrad. È chiara l’intenzione del Cremlino di bypassare Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria e Polonia, non solo per diminuire la quantità di gas da trasportare sul suolo europeo, ma soprattutto per smorzare sul nascere qualsiasi pressione da parte degli stati dell’Europa centro-orientale sul tavolo delle trattative.

Qui entra in campo il secolare conflitto russo-polacco. Un anno fa, la Polonia tentò di bloccare il tutto, mediante una super-multa, contro Gazprom, da più di 29 miliardi di zloty (6,45 miliardi di euro), presentata dall’ente anti-monopolio di Varsavia. Il governo polacco riteneva che il gasdotto russo-tedesco stesse violando le regole sulla concorrenza a discapito degli interessi dei consumatori.

Torniamo a noi. Oggi, è Gazprom a puntare l’indice contro Varsavia, rea di aver provocato una flottiglia russa, tramite l’utilizzo di navi, aerei e pescherecci polacchi. Il direttore della filiale Nord Stream 2 dalla città di Kingisepp, Andrey Minin, afferma davanti ai microfoni dei giornalisti russi: “Dopo la ripresa della costruzione della sezione offshore del gasdotto Nord Stream 2 nel gennaio 2021, è stata osservata una maggiore attività di navi da guerra, aerei ed elicotteri, così come navi civili di paesi stranieri nella zona dei lavori in corso. Le loro attività sono spesso di natura apertamente provocatoria. Un aereo da guerra antisommergibile polacco PZL-Mielec M28 B1 Rbi sorvola regolarmente la zona di lavoro a bassa quota e non lontano dalla nave posatubi”.

Tuttavia, il Comando operativo delle forze armate polacche, su Twitter, ha negato tali accuse, puntualizzando che gli aerei M-28B Bryza conducono regolarmente voli di pattugliamento e ricognizione nella regione baltica. Giustificazioni che non convincono Minin, il quale incalza “Il 22 febbraio un peschereccio polacco SWI-106 è entrato nella zona di posa del gasdotto vicino all’ isola di Bornholm.

Sono stati numerosi i  tentativi di stabilire una comunicazione radio con esso, ma senza successo. In questa situazione la nave di rifornimento russa (Vladislav Strizev) ha dovuto invertire la rotta per respingerlo e per scongiurare una collisione ai danni della Fortuna, l’imbarcazione per la posa di condutture”. Ergo, per Mosca è tempo di premere l’acceleratore.

Giovedì, Gazprom ha evidenziato che attualmente l’investimento è stato realizzato al 95 per cento, ma 121 chilometri di tubi devono ancora essere posati per completare il gasdotto. Sempre giovedì, l’ufficio tedesco BSH (Agenzia federale per la navigazione e l’idrografia) ha respinto un reclamo, a firma di alcune organizzazioni ambientaliste tedesche, contro un permesso rilasciato per la posa del Nord Stream 2 nelle acque appartenenti esclusivamente allo Stato tedesco, dove rimangono da installare circa 20 km di tubi.

Facciamola breve: la Polonia, sotto l’ala protettiva del gigante americano, intende proseguire il braccio di ferro con Mosca, per difendere la propria leadership nell’est europeo, d’altro canto l’Ue prova ad uscirne viva dalla sfida Atlantico-Urali, nonostante la benedizione della locomotiva tedesca al progetto filo-russo che collega Vyborg a Greifswald.

Bisognerebbe rispolverare la teoria del conflitto di Simmel e Coser, per comprendere le fasi di escalation e de-escalation dello scontro atavico tra Polonia e Russia. Certo è che senza una risoluzione della polarizzazione e una negoziazione concreta, lo scenario non sarà soggetto a cambiamenti. E l’Europa rimarrà la figlia di Agenore, in attesa del suo romantico rapitore, non più padrona del proprio destino.

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