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L’impressione di numerosi osservatori è che l’Iran consideri vitale la riorganizzazione del gruppo terroristico Hezbollah e che stia tentando nuove strade per inviare finanziamenti e armamenti che compensino le gravi perdite subite dal 7 ottobre a oggi.

Il 1° gennaio scorso, durante la celebrazione del quinto anno dalla morte del generale Qasem Soleimani, comandante della Forza Quds dei Guardiani della Rivoluzione, l’ayatollah Ali Khamenei ha chiarito che l’Iran intende proseguire la strategia di penetrazione regionale intrapresa da Soleimani, sostenendo i proxy armati in Libano, in Yemen, a Gaza, in Iraq e, se (e per quanto) possibile, mantenere una qualche influenza nella stessa Siria.

Indiscrezioni di stampa indicano, per esempio, che nelle ultime settimane l’Iran avrebbe nuovamente utilizzato i voli della sua compagnia aerea Mahan Airlines (sanzionata da Stati Uniti e Unione europea) per nuove azioni di supporto ad Hezbollah. La novità ipotizzata da alcune fonti giornalistiche è che, data la difficoltà di operare negli scali di Damasco e di Beirut, gli aiuti ad Hezbollah sarebbero stati veicolati da voli aerei con destinazione Turchia. Non sarebbe certo la prima volta che la Turchia, pur essendo un importante membro della Nato, si comporta da free rider; basti qui citare la relazione privilegiata con Hamas.

Per comprendere come stanno veramente le cose servirebbe un’analisi molto accurata della situazione, tenendo in debito conto la nota e persistente rivalità politica tra Teheran e Ankara. Tuttavia, al di là dell’ipotetico uso dello spazio aereo turco da parte dei Guardiani della Rivoluzione per sostenere Hezbollah, numerose altre incognite circondano oggi le ambizioni “neo-ottomane” ed espansionistiche del presidente Recep Tayyip Erdoğan. Dobbiamo essere ben consapevoli che (come è già accaduto per l’Italia in Libia) le politiche di Ankara possono entrare in contrasto con gli interessi nazionali dei Paesi della Nato, nonché con la strategia difensiva dell’Alleanza Atlantica nel suo complesso.

Che fare? I rischi connessi ai comportamenti tutt’altro che lineari della Turchia confermano la necessità di avviare con la massima urgenza la costruzione del pilastro europeo della Nato, prospettiva rilanciata recentemente dal Presidente del Consiglio in Parlamento.

Purtroppo sono passati quasi vent’anni senza progressi sostanziali da quando Javier Solana, primo Alto rappresentante per la politica estera dell’Unione europea, aveva acceso la speranza di una collaborazione strategica tra Nato e Unione europea che consentisse all’Europa una presenza diplomatica e militare efficace nel mondo. Ma il pilastro europeo della Nato rischia di restare una formula vuota se non si elabora finalmente, sia da parte dell’Unione europea sia da parte della Nato, una chiara pianificazione e implementazione con tappe temporali definite e obiettivi intermedi.

Per analogia, senza ovviamente ignorare la diversità della materia, è utile far riferimento al percorso di preparazione e realizzazione dell’euro. Costruire il pilastro europeo della Nato costituisce, infatti, una grande e complessa sfida storica.

Basti pensare alla difesa comune in campo aero-spaziale e a come affrontare le nuove frontiere degli armamenti laser e ad alta energia.

Se non ora, quando? L’auspicio è che sin dal prossimo summit europeo il Consiglio dia all’Alto rappresentante Kaja Kallas un mandato pieno per presentare entro il 2025 un piano pluriennale capace di trasformare l’idea del pilastro europeo della Nato in una realtà operativa e ben funzionante.

L’Iran ci ricorda l’urgenza del pilastro Ue della Nato. Scrive Mayer

La riorganizzazione di Hezbollah e il ruolo ambiguo della Turchia nella Nato evidenziano la necessità di un pilastro europeo per l’Alleanza Atlantica. Mentre l’Iran continua a sostenere i suoi proxy, l’Europa deve accelerare i piani per una strategia diplomatica e militare efficace, con l’obiettivo di rafforzare la difesa comune entro il 2025

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