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“Come avrebbe reagito Guido Carli di fronte ad una crisi come quella attuale?”, sono in molti a chiedermelo in questi giorni. Ebbene, a dodici anni di distanza, in un mondo così mutato – ne sono sicura – è la stessa domanda che si sarà posto Mario Draghi, il presidente del Consiglio, entrando a Palazzo Chigi. Ne sono sicura.

Era il 2009 e l’allora governatore di Bankitalia, durante un convegno sulla figura del suo predecessore, si poneva proprio questo interrogativo retorico. Oggi, il ritorno dell’ex presidente della Bce sulla scena nazionale nella più alta carica di governo rappresenta la conferma di quanto fosse vincente la scommessa di chi come Guido Carli – tra i firmatari del Trattato di Maastricht – aveva puntato sul futuro europeo del nostro paese e sulla connotazione europeista dei suoi uomini migliori. Non sarà tuttavia un compito facile, quello del nuovo premier. Tanti gli indicatori che registrano la criticità del momento. Un esempio? La bassissima natalità.

Nell’ultimo anno in Italia, stando alle rivelazioni Istat, sono nati ventimila bambini in meno. In compenso, causa Covid, sono aumentati i decessi: più ottantaquattromila. Vuol dire che ci saranno oltre centomila italiani in meno, un dato destinato a ripetersi se l’andamento si stabilizzerà su questa soglia. Un’emergenza nell’emergenza. Quella sanitaria presto finirà, ma la profonda crisi demografica, assieme a quella economica, si fa strutturale e sarà uno dei macigni che Mario Draghi troverà sul suo cammino.

Si tratta di ostacoli importanti, non di semplici congiunture. È ormai inutile dirlo. Tuttavia è l’ex presidente della Bce l’unico in grado di superarli. Il nuovo premier, infatti, è considerato – e con fondate ragioni – la chiave di volta della possibile Ri-nascita. Di certo, assieme al capo dello Stato Sergio Mattarella, incarna quel senso delle istituzioni e quello “spirito repubblicano” che sono stati i tratti distintivi della vita e dell’impegno civile di Guido Carli, il ministro che durante il settimo governo Andreotti ha chiamato l’allora professor Draghi alla direzione del Tesoro. Era il 1991. Una continuità ideale, ma anche culturale ed etica, lega le figure dei due ex governatori di Bankitalia.

Ho nitidi ricordi di due episodi legati all’attuale premier. Avevo poco più di vent’anni, quando Draghi divenne direttore generale del ministero del Tesoro: nonno Guido mi parlava spesso degli uomini che un giorno avrebbero potuto far grande o addirittura salvare l’Italia. Uno di questi era lui, quell’uomo che un giorno sarebbe diventato presidente della Bce. Una profezia, a ripensarci oggi: Draghi ci ha salvati nel 2012, quando in piena “tempesta euro” pronunciò da Francoforte il famoso “whatever it takes”. “Nell’ambito del suo mandato – furono le sue parole allora – la Bce è pronta a fare tutto ciò che è necessario per preservare l’euro. E credetemi, sarà abbastanza”.

Il secondo ricordo è ancora più personale ed è legato al mio ruolo di presidente della Fondazione Guido Carli. L’ho conosciuto da vicino, il caso di dire. Draghi, nel suo ultimo anno alla Banca centrale europea, mi invitò per un colloquio che ricorderò sempre come uno dei più vivaci e al tempo stesso impegnativi della mia vita. Uomo attentissimo alla forma (che io ritengo coincida sempre con la sostanza), in quell’occasione volle dare la sua benedizione nel decimo anno di vita del Premio Guido Carli da me istituito. Parlammo di tutto, perfino di ristoranti, e alla fine del colloquio me ne consigliò uno per la sera, il migliore di Francoforte.

Per me quello del Decennale è stato un anno denso di significato. Un anno di potenti emozioni: ero stata ricevuta dal capo dello Stato, Sergio Mattarella; poi la commozione fortissima dell’incontro con sua santità, Papa Francesco e, infine, il presidente della Bce che ho avuto la fortuna di conoscere ancora meglio proprio in quella circostanza apprezzandone le doti umane, oltre che professionali e culturali di un grande servitore dello Stato. Nel solco della tradizione e del lascito morale del suo predecessore in Bankitalia: Guido Carli.

Ed è nella scia di quella memoria che la Fondazione che ho l’onore di presiedere organizza ‪il 5 marzo‬‬‬ la Lectio magistralis dal titolo “Il diritto alla felicità. Confronto a due voci sul futuro dell’etica”. Brunello Cucinelli, imprenditore di successo e filosofo per vocazione, e Gianni Letta, uomo delle istituzioni al servizio del bene comune, si confronteranno dalle 17, nell’Aula Magna Mario Arcelli dell’Università Luiss Guido Carli e in diretta streaming su corriere.it, tgcom24.it, @fondazioneguidocarli e Luiss social tv.

Al centro della Lectio: l’etica. E la felicità, che è il diritto forse più naturale e al tempo stesso all’apparenza meno esercitato e rivendicato. Di certo, non codificato nel nostro ordinamento, a differenza di quel che accade in quello statunitense. Ecco perché la Fondazione si fa promotrice di un’istanza ambiziosa: chiedere l’inserimento del diritto alla felicità nella Carta costituzionale. Riteniamo che i tempi siano senz’altro propizi per la realizzazione di un impegno tanto importante.

Il neo premier Draghi ha sottolineato nel suo discorso programmatico come non basti una “buona moneta”: dobbiamo lasciare un “buon pianeta” ai nostri figli. Occorre lavorare insieme – tutti noi – perché questo buon proposito possa realizzarsi.

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