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“Tante sono le esteriorità del Natale che ornano e abbelliscono il Natale, che spesso il suo significato vero ci resta nascosto…”. Queste parole pronunciate dal papa San Paolo VI nel dicembre 1966 in questo Natale 2020 sono ridimensionate dalla Pandemia, che ci porta a vivere le festività natalizie in modo più sobrio e famigliare.

Se non ci lasciamo influenzare dai mezzi della comunicazione sociale che, quasi ci martellano insistendo sulle limitazioni dell’aspetto consumistico e turistico delle festività, il contesto nel quale ci troviamo può essere per ciascuno e per le nostre famiglie l’occasione per riscoprire e vivere intensamente il valore spirituale del Natale, che annualmente celebra la nascita di Gesù Cristo.

Sono certamente belle le luci, i canti, i doni, i pranzi, i giochi, i viaggi, ma, dobbiamo riconoscere che essi spesso hanno preso il sopravvento soffocando l’evento della nascita del Bambino.

Personalmente mi sembra di rivivere oggi quell’atmosfera di attesa semplice, famigliare, quasi incantata di quando ero bambino, che ci portava di giorno in giorno a camminare verso Betlemme, accompagnati dalla voce dei poeti, credenti e non credenti, che affascinati dal “Mistero” hanno dato ad esso voce mediante la poesia esprimendo i più profondi sentimenti umani. La poesia si incontrava con i canti popolari e con la voce della Liturgia che canta con sublimità l’avvenimento inaudito dell’incarnazione del Figlio di Dio.

In effetti proprio questo è il senso autentico del Natale, che l’evangelista Giovanni nel prologo del suo Vangelo proclama con quell’incisività che raggiunge la mente ed il cuore: “Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (1,14). Questa è la lieta notizia del Natale, questo è il suo fascino, la sua profonda bellezza e la sua concretezza!

Il Concilio Vaticano II, nella Costituzione Gaudium et Spes (n.22), ripropone nella sua integralità la figura di Gesù Cristo, il “Verbo incarnato”, “l’uomo nuovo”, “l’uomo perfetto” nel quale “trova vera luce il mistero dell’uomo”, rivelando l’uomo a se stesso e svelandogli la sua altissima vocazione. Vocazione che in definitiva è quella divina e quindi la natura umana è innalzata ad una dignità sublime.

Volgendo il nostro sguardo al Bambino posto nella mangiatoia, noi scopriamo che il Figlio di Dio è “uno di noi”, che, come noi, continua il Concilio: “Ha lavorato con mani d’uomo, ha pensato con intelligenza d’uomo, ha agito con volontà d’uomo ha amato con cuore d’uomo”. (GS,22) Cristo è così immagine di Dio e modello dell’uomo, in quanto “uomo perfetto”, con Lui l’umanità giunge al suo culmine e scopriamo cosa voglia dire essere uomo. Già San Leone Magno, nel suo Discorso sul Natale, invitando alla gioia, esortava: “Riconosci, cristiano, la tua dignità” (PL,54,190-193).

Questo invito è rivolto ai credenti ma anche ai non credenti, in quanto tutti, o per appartenenza di fede o per la comune umanità, vediamo in Cristo l’uomo così come è nella sua natura originaria. Un uomo vissuto per gli altri fino alla morte, che con il suo Vangelo ha posto nell’umanità un seme di speranza nuova per tutti e per ciascuno al di là dei propri meriti e delle proprie possibilità. Il Vaticano II, non teme di affermare che chi segue Cristo diventa più uomo. Il cristiano sa che seguendolo incontra nell’umanità di Gesù la bontà e la misericordia divina che lo rende capace di incontrare il Padre ed i fratelli. Coloro che non hanno il dono della fede hanno in Cristo un modello unico per realizzare la loro umanità nel dono di se stessi.

Il tempo della pandemia che stiamo ancora vivendo ci ha mostrato e continua a mostrarci immagini di sofferenza e di morte, ci fa sperimentare la fragilità del nostro essere uomini, ma anche la capacità di tante persone di prodigarsi per il bene altrui e la capacità dell’intelligenza di far progredire la scienza. Ci offre anche la possibilità di riscoprire l’autenticità delle relazioni a partire da quelle famigliari, come anche il valore degli anziani, che avevamo quasi dimenticato. In questo tempo, definito “sospeso”, certamente inaspettato, piombato improvvisamente sul nostro modo di vivere, abbiamo bisogno di volgere il nostro sguardo al Bambino di Betlemme per trovare la creatività di costruire un mondo più giusto, fraterno e solidale, come papa Francesco ci invita a fare nella sua ultima Enciclica “Fratelli tutti”.

Il prossimo Natale sarà avvolto da un silenzio inusuale, nel quale possiamo ritrovare il volto di Dio incarnato e lo stesso volto dell’uomo. Come scriveva Romano Guardini (il Signore, Vita e Pensiero, p.30), “le grandi realtà maturano nel silenzio… nella chiarezza della vista interiore, nel cauto procedimento della decisione, nel sacrificio nascosto e nell’abnegazione… Le forze che non fanno strepito sono quelle che realmente valgono. Indirizziamo ora la nostra attenzione al più tacito di tutti gli eventi, a quello che viene nel silenzio, da Dio, sottratto ad ogni pressione”.

Il silenzio del Natale da riscoprire. Gli auguri di mons. Fabene

Di Fabio Fabene

Sono certamente belle le luci, i canti, i doni, i pranzi, i giochi, i viaggi, ma, dobbiamo riconoscere che essi spesso hanno preso il sopravvento soffocando l’evento della nascita del Bambino. Questo Natale invece sarà avvolto da un silenzio inusuale, nel quale possiamo ritrovare il volto di Dio incarnato e lo stesso volto dell’uomo. Gli auguri di monsignor Fabio Fabene, vescovo di Montefiascone e già sottosegretario del Sinodo dei Vescovi

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