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Nessuna novità concreta, neppure oggi, almeno in apparenza. A ormai più di un mese di distanza dall’avvio delle ostilità all’interno della maggioranza giallorossa – che può essere fissato al 9 dicembre scorso quando Matteo Renzi intervenne in Senato per rispondere a Giuseppe Conte sulla governance del Recovery Fund – la crisi appare ancora lontana da un atterraggio politico e istituzionale.

Solo rumors, voci, ipotesi. E poi dichiarazioni pubbliche che sembrano sempre preludere a una rottura immediata, salvo poi lasciare spazio all’ennesimo tentativo di mediazione. Come quella di giornata pronunciata dal presidente di Italia viva, Ettore Rosato: “È il presidente del Consiglio a staccare la spina del governo, non noi. Ci ha detto che ci vedremo in aula sfidandoci? Va bene. Utilizzeremo la dialettica e i nostri numeri per vedere chi ha ragione rispetto ai ritardi di questo governo”.

LE LANCETTE CHE CORRONO

Il tutto come se il fattore tempo fosse diventato improvvisamente una variabile di fatto irrilevante. Nel senso che nelle ultime settimane il momento previsto per la resa dei conti è stato via via continuamente spostato in avanti – da Natale a Capodanno, dai primi giorni del 2021 all’Epifania e poi oltre – senza che la situazione mutasse apprezzabilmente. Le rivendicazioni sono sempre le stesse, le critiche pure, le possibili soluzioni anche.

Morale della favola: tutto fermo in un senso e nell’altro, nonostante l’Italia – per usare un’espressione cara a Renzi ma usata di recente pure da Giuseppe Conte – abbia un disperato bisogno di correre sul Recovery Fund e non solo.

Insomma, in teoria il tempo incalza ma in pratica la dead-line per sapere finalmente cosa succederà finisce tatticamente per slittare sempre più avanti. Ora, pare, a martedì prossimo quando potrebbe svolgersi, ma il condizionale è d’obbligo, il tanto atteso Consiglio dei Ministri per l’esame del Piano nazionale di ripresa e resilienza modificato da Palazzo Chigi dopo le critiche di Italia viva.

GLI SCENARI DA 1X2

L’appuntamento, però, non è ancora confermato né è scontato che possa essere decisivo, in una direzione o nell’altra. La tensione comunque rimane alta, secondo lo schema ormai tradizionale confermato pure dalle parole della ministra dell’Agricoltura ed esponente di Italia viva Teresa Bellanova: “Arrivi questo benedetto Recovery Plan, ci si dia il tempo di valutarlo e ci si confronti in Consiglio dei Ministri.

Anzi, ci si confronti anche sugli altri nodi con un patto di legislatura. Se ci sarà tutto questo noi ci siamo. Diversamente l’esito è già scritto e la responsabilità solo di altri”. Quindi, cosa succederà alla fine? Quali sono le possibili alternative in campo? E quante probabilità hanno di verificarsi effettivamente? In una situazione del genere è difficile, anzi forse impossibile, dare le percentuali – siamo nel più classico scenario da 1X2 per dirla in termini calcistici – ma qualche appiglio per ragionare comunque c’è.

ANCORA CONTE, A MAGGIORANZA INVARIATA, MA CON FORZE FRESCHE IN SQUADRA

L’ipotesi numero uno, che rimane forse la più probabile, è la permanenza a Palazzo Chigi di Giuseppe Conte sostenuto dalla stessa identica maggioranza di ora. Dunque, anche a seconda dell’intensità dei cambi nella squadra di governo, potremmo assistere a un rimpasto più o meno pesante oppure al varo del cosiddetto Conte ter. Un esito, quest’ultimo, che in teoria sembrerebbe il più logico per accontentare entrambi i contendenti, ossia Renzi e il premier.

Il presidente del Consiglio otterrebbe di rimanere alla guida dell’esecutivo mentre il leader di Italia viva potrebbe pur sempre rivendicare di aver impresso un deciso cambio di direzione al governo nella gestione della pandemia e della ricostruzione.

Ma, se è così semplice, perché non si è già verificato? L’impressione è che il vero problema attenga ai rapporti tra i due che non si fidano l’uno dell’altro – Conte in particolare temerebbe che nel passaggio dal bis al ter Renzi cambi le carte in tavola e si dica indisponibile alla conferma dell’attuale premier – con la conseguenza di bloccare tutto (qui il commento di Gianfranco Rotondi).

SEMPRE CONTE, MA SENZA RENZI

Tutt’altro che da escludere appare poi un altro scenario, che fino a pochi giorni fa sarebbe stato impensabile. Ovvero, che Conte continui a guidare l’esecutivo ma in una maggioranza di cui non farebbe più parte Italia viva. In fondo, si tratta dell’ipotesi responsabili su cui si dice che il premier abbia fortemente lavorato nell’ultimo mese. Tutti l’hanno sempre esclusa senza se e senza ma, però, come la storia insegna, i cosiddetti responsabili si palesano pubblicamente solo nell’istante esatto in cui c’è bisogno di loro. Mai un minuto prima.

E poi – come ha osservato stamattina Tommaso Labate sul Corriere della Sera – Conte appare troppo sereno, al punto da far temere a Renzi di aver già un’intesa con qualcuno: “Magari ha già un accordo con Berlusconi, magari c’è un pezzo di Forza Italia che gli ha già garantito i voti in Parlamento che verrebbero meno senza Italia viva: non riesco a spiegarmi altrimenti questa sua tranquillità”. Questa la dichiarazione riportata dal quotidiano diretto da Luciano Fontana. E in effetti da Palazzo Chigi sembrano fare sfoggio di calma, come pure il post di ieri affidato a Facebook parrebbe confermare.

BYE BYE GIUSEPPI, AVANTI IL PROSSIMO

Meno probabile, almeno secondo chi scrive, che si concretizzi questa eventualità, che cioè il governo vada avanti, sempre con la stessa maggioranza, ma senza Conte. Vorrebbe dire una vittoria su tutta la linea di Renzi che fin dal principio, e in realtà non da adesso, avrebbe coltivato l’obiettivo di una sostituzione a Palazzo Chigi. Complicato, però, visto come si sono messe le cose.

Trovare un altro nome di sintesi tra le varie forze politiche non sembra affatto facile e poi anche gli alleati di Italia Viva – che in un primo momento si era pensato stessero avvalendosi dell’ex presidente del Consiglio per esprimere pure la loro opinione – negli ultimi giorni si sono fatti sentire in difesa di Conte.

Basti pensare alle parole di Massimo D’Alema o all’intervista che questa mattina il ministro pentastellato della Giustizia Alfonso Bonafede ha affidato al Fatto Quotidiano: “Conte non si tocca, senza di lui c’è il voto. Crisi è da marziani”. Più sfumata, come spesso accade, la posizione del Pd: l’impressione, considerata anche l’ultima direzione nazionale, è che Nicola Zingaretti potrebbe non fare barricate a difesa dell’attuale premier a favore del quale, però, remerebbero convintamente molti dei maggiorenti Pd, a cominciare dal capo delegazione al governo e ministro per i Beni culturali Dario Franceschini.

VOTO E UNITÀ NAZIONALE: LE IPOTESI A CUI NESSUNO CREDE

Infine ci sono le ipotesi che spesso tornano nelle dichiarazioni pubbliche o nelle paginate dei quotidiani ma a cui poi, effettivamente, in pochissimi credono per via dell’oggettiva difficoltà di darvi luogo.

Prendiamo il governo di salute pubblica guidato da Mario Draghi o chi per lui (si guardi anche alla voce Carlo Cottarelli): è molto complicato che possa realizzarsi perché la maggioranza dei partiti semplicemente non lo vuole, perché indisponibile a governare con l’altra parte politica o ad accettare la cessione di potere che una scelta del genere inevitabilmente imporrebbe.

Per non parlare dell’ipotesi elezioni che prima di tutto non sta in piedi sotto il profilo sanitario. Con l’emergenza ancora in fase così acuta – con la possibilità concreta che possano slittare le prossime regionali in Calabria e le amministrative di primavera – è possibile solo pensare che si possa tornare a breve alle urne? Effettivamente no, salvo cataclismi difficili da prevedere e certo non auspicabili.

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