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La Cina, forse, è un po’ meno vicina. Il governo è pronto a dare una sforbiciata ai rapporti fra l’editoria italiana e quella dell’ex Celeste Impero? Il dubbio viene a leggere il Dpcm 179/2020 entrato in vigore lo scorso 14 gennaio che individua le società assoggettate al nuovo golden power, cioè ai “poteri speciali” di intervento di Palazzo Chigi.

L’articolo 13 aggiunge all’elenco “le attività economiche a carattere nazionale e di rilevanza strategica svolte dai fornitori di servizi di media audiovisivi o radiofonici, dai fornitori di servizi interattivi associati o di servizi di accesso condizionato, dai soggetti esercenti l’attività di radiodiffusione, dalle agenzie di stampa, dagli editori di giornali quotidiani, periodici o riviste, dai soggetti esercenti l’editoria elettronica”. Ci sono proprio tutte, dai cartacei alle agenzie.

Fino al 30 giugno 2021, quando dovrà essere prorogato, se necessario, il golden power rinforzato, saranno soggetti all’obbligo di notifica alla presidenza del Consiglio tutte le delibere, gli atti o le operazioni adottati da un’impresa strategica, quindi anche un quotidiano nazionale, “che abbiano per effetto modifiche della titolarità, del controllo o della disponibilità di detti attivi o il cambiamento della loro destinazione” (art. 4-bis, comma 3-bis, lett.a, dl. 105/2019).

Una novità non da poco che potrebbe intervenire anche sugli accordi di collaborazione stretti da alcuni quotidiani nazionali con media di Stato cinesi. Chi conosce da vicino il comitato golden power sa infatti che si tende a dare un’interpretazione larghissima al concetto di “modifiche di titolarità” o “cambiamento di destinazione” in cui, in questo caso, possono rientrare anche stipule di accordi commerciali o di proprietà industriale.

Siccome il golden power introdotto dal governo Conte-bis agisce anche e soprattutto su realtà extra-Ue, non è da escludere che all’obbligo di notifica si debbano adeguare anche i media italiani che hanno memorandum d’intesa con le controparti filo-governative cinesi. Ce ne sono diversi e, dato non irrilevante, tutti incassano finanziamenti pubblici.

Alcuni sono stati rinnovati in occasione della firma del Memorandum per la nuova Via della Seta da parte del governo gialloverde a Roma, presente Xi Jinping. È il caso dell’intesa più che decennale fra l’agenzia di Stato cinese Xinhua da una parte e Agi e Class Editori dall’altra. O ancora fra il quotidiano di Confindustria, il Sole 24 Ore, e il China Economic Daily, foglio di riferimento per l’informazione economica del governo cinese.

Su tutti spicca l’accordo fra l’agenzia Ansa e Xinhua. Una collaborazione di cui non si sanno i dettagli economici (il contenuto di tutti i memorandum è secretato) ma che consiste nella ripubblicazione e nella traduzione (spesso letterale) dei lanci dell’agenzia di Pechino, anche nell’ordine di decine al giorno.

Senza dimenticare l’intesa fra China Media Group (CMG, nata nel marzo 2018, subordinata al Consiglio di Stato cinese e sotto la direzione del Dipartimento per la Comunicazione Politica del Comitato Centrale del Partito comunista cinese) e Rai, Mediaset e Class Editori. Nel marzo del 2019, per celebrare la visita, aveva scritto su queste colonne Laura Harth, avevano inaugurato la “Settimana della tv Cinese” con la messa in onda di “20 lungometraggi, documentari e serie TV selezionati dal Cmg, tra cui la versione italiana delle “Citazioni letterarie di Xi Jinping””. La stessa CMG che, sempre nel marzo 2019, ha distribuito ai parlamentari italiani copie gratuite di “Cinitalia”, un mensile propagandistico e bilingue.

Insomma, se il nuovo golden power inserisce anche i giornali e le agenzie fra le “attività economiche di rilevanza strategica”, è lecito porsi il dubbio: la scure del governo colpirà la Chinese connection dell’editoria italiana?

La scure del golden power e cosa rischiano i media cinesi in Italia

Nell’ultimo Dpcm sul golden power i poteri speciali anche per l’editoria italiana. Sotto la scure di Palazzo Chigi le operazioni che modificano titolarità controllo o destinazione dei giornali nazionali. Ecco perché potrebbe colpire i tanti accordi con le agenzie del governo cinese, da Xinhua a CMG

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