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Un salto generazionale, letteralmente, attende l’industria della Difesa italiana. È quello che vedrà il nostro Paese contribuire, con Regno Unito e Giappone, allo sviluppo del caccia di sesta generazione Global combat air programme (Gcap). Un sistema di sistemi all’avanguardia che pone non solo sfide tecnologiche, ma anche organizzative, istituzionali e che dovrà fare affidamento sull’intero sistema-Paese. Questi sono stati i temi dell’evento “Bridging the gap: l’industria italiana alla prova del Gcap”, organizzato da Formiche e Airpress, che ha riunito gli esponenti dell’industria, della politica e delle Forze armate, moderati da Flavia Giacobbe.

Un programma a beneficio dell’Italia intera

Dopo l’esperienza dell’Eurofighter, che vide il Paese come uno dei principali attori nello sviluppo della quarta generazione, l’Italia, mancò l’appuntamento con la quinta. Tuttavia, “mentre dall’altra sponda dell’Atlantico si sviluppava la quinta generazione, l’Italia riuscì a intercettarla” ha ricordato Giorgio Mulé, vice presidente della Camera dei Deputati, e oggi essere stati un partner dell’F-35 potrà rappresentare un vantaggio nel momento in cui ci affacciamo alla sesta generazione. Secondo Mulé, il Gcap non dovrà essere inteso come a uso esclusivo delle Forze armate e dell’industria, ma come un “moltiplicatore di investimenti” a livello nazionale, quasi “una declinazione del Pnrr” che, con tutte le tecnologie innovative, “contribuirà a elevare le capacità dell’intera industria nazionale italiana”. In questa ottica, sarà importante coinvolgere le Pmi. “Guai”, avvisa Mulé, “se dovesse riguardare solo alcune aziende, la forza del progetto risiede nella capacità di creare una supply chain per tutte le imprese che possono essere coinvolte”. Una responsabilità che ricadrà soprattutto sulle aziende leader.

Non solo il caccia

“Come per altri programmi di sviluppo, il Gcap non è solo un aereo da combattimento, ma un sistema di sistemi in cui tutti i pezzi devono operare in sinergia”, ha ricordato Stefano Pontecorvo, presidente di Leonardo. Il cockpit del velivolo, ha spiegato il numero uno di piazza Monte Grappa, dovrà “gestire una mole di dati pari a diecimila volte quella attuale”. La sesta generazione non è costituita infatti dal solo caccia, ma anche da droni gregari e sistemi integrati di comando, controllo e comunicazioni (C3). Un trend che non rimarrà confinato al solo settore aeronautico, ma “lo stesso discorso si applica, per esempio, anche al nuovo carro armato che verrà sviluppato con Rheinmetall”. La sfida non sarà costituita solo dallo sviluppo di queste soluzioni, ma anche dalla capacità di rendere tutti i partner del programma in grado di produrre autonomamente ogni parte del velivolo, cosa che con l’F-35 non è stata possibile. Per raggiungere tale obiettivo, il ruolo delle Pmi e della supply chain sarà cruciale.

Un progetto di lungo periodo

“La sfida del Gcap ci accompagnerà per i prossimi quaranta, cinquant’anni” ha affermato Domitilla Benigni, Ceo e Coo di Elt Group, e “avremo bisogno di tecnologie diverse da quelle che abbiamo visto finora applicate all’ambito avionico in Europa”. La catena del valore di un programma come il Gcap, esattamente come fu per l’Eurofighter, ha un orizzonte temporale esteso e i benefici della partecipazione a simili progetti congiunti non si ferma al solo ai ricavati e al workshare, ma tocca anche altri aspetti importanti. “Questo lavoro dovrà essere armonizzato e condiviso coi partner, e le tecnologie che svilupperemo ci aiuteranno anche a lavorare insieme”, spiega Benigni, sottolineando come il coordinamento distribuito tra tre Paesi in due continenti sarà senz’altro una sfida complessa, ma anche un’opportunità per realizzare una rivoluzione nei processi aziendali e nel modo in cui queste iniziative vengono condotte. Altro aspetto fondamentale sarà la gestione dei dati per raggiungere la superiorità informativa sugli avversari. “Dovremo essere visionari su come trovare, gestire, difendere e garantire l’integrità dei dati e come farne un utilizzo proficuo. Sicuramente non saremo in grado di fare tutto da soli e quindi dobbiamo portare a bordo le Pmi per prendere da esse quello che loro hanno rispetto alle grandi aziende, come velocità e processi più snelli”. Allo stesso momento, però, le imprese più piccole potranno beneficiare dell’esperienza delle più grandi. Infatti: “le grandi aziende sono abituate a gestire progetti di questa mole e possono aiutare le Pmi, che sennò rischierebbero di esserne schiacciate”, ha spiegato Benigni. “In questo contesto diventa fondamentale la gestione dello spettro elettromagnetico, che è il mezzo dove viaggeranno i dati da scambiare, nonché il collante tra i cinque domini: air, land, maritime, space e ovviamente il cyber. A questo progetto, Elt porterà la sua storica competenza nell’Emso”, ha poi aggiunto a margine.

Le prestazioni

L’apparato propulsore del Gcap sarà “una starship di Star Trek” rispetto a quello dell’Eurofighter, ha sintetizzato l’ad di Avio Aero Riccardo Procacci. “Si tratterà di una macchina che dovrà essere in grado di penetrare in profondità e di evadere in fretta”, ha spiegato, “e tutto questo andrà fatto in modo stealth”. La bassa rilevabilità, in cui i partner inglesi possono essere di grande aiuto, sarà uno degli aspetti più delicati, a causa della traccia termica che il nuovo motore genererà. Questo non solo in virtù della necessità di dotare l’aereo della potenza propulsiva adeguata a soddisfare le esigenze operative, ma anche per alimentare la vasta gamma di sistemi elettronici che si troveranno a bordo. “Tanta più energia elettrica si produce, tanto più calore viene emanato” spiega Procacci, pertanto “il thermal management sarà fondamentale”.

Armamento e misure difensive

Il Gcap dovrà anche essere in grado di contrastare le minacce future, raccogliere informazioni ed elaborare relative contromisure, il tutto nel più breve tempo possibile. “Mbda, anche grazie alla lungimiranza dell’amministrazione Difesa, ha messo a punto innovazioni tecnologiche e capacità che consentono di dare un contributo fondamentale nel programma Gcap: dalla capacità di operare in un ambiente combat cloud a capacità di miniaturizzazione, all’utilizzo di quantum technologies”, ha affermato Giovanni Soccodato, managing director di Mbda Italia, confermando che, per impiegare tecnologie all’avanguardia come laser ad alta potenza insieme ai sistemi convenzionali, la nuova piattaforma dovrà tener conto dell’ottimizzazione degli spazi a bordo. Anche per questo sarà importante che ci sia “una filiera italiana che sia in grado di posizionarsi sulle capacità di rispondere in modo adeguato alle minacce più evolute in maniera integrata e allineata agli obiettivi di missione della piattaforma”.

Il ruolo delle Pmi

Il Gcap sarà una sfida non solo per i campioni dell’industria, ma anche per le Pmi che, anche grazie a una prospettiva diversa e a expertise particolari, daranno il loro contributo. “È importante che le grandi aziende, nei tavoli del negoziato che definiranno le caratteristiche dei sistemi, rappresentino anche le piccole aziende, che dal canto loro devono essere pronto con i loro sistemi proprietari. Importante sarà portare il know how nazionale”, ha affermato Claudia Mona, amministratore delegato di Secondo Mona. Triangolazioni come quella sul Gcap implicano il trasferimento di risorse e personale con partner extra-Ue e extra-Nato, e anche “le piccole e medie aziende devono essere pronte”.

Un salto culturale per il Paese

“Con l’Eurofighter e il Tornado, tante imprese che erano piccole sono diventate medie e tante medie sono diventate grandi”, ha ricordato Antonio Alunni, presidente e amministratore unico di Fucine Umbre, sottolineando come il salto tra quarta e sesta generazione possa rappresentare anche un salto culturale per il Paese nel modo di intendere il rapporto tra i giganti dell’industria e la filiera associata in ottica si sistema-Paese. “L’Italia, in quanto seconda manifattura d’Europa e settima a livello globale, ne è in grado”, ha concluso.

Sovranità tecnologica e collaborazione con i partner

“La sfida che ci attende non è quella di una progressione lineare dalle capacità attuali, ma è quella di sapere come affrontare un vero salto tecnologico. che sarà cruciale per mantenere la nostra competitività a livello internazionale”, ha evidenziato Frank Spina, amministratore delegato di Northrop Grumman Italia, che ha inoltre specificato come l’innovazione costituisca la chiave di volta del progetto. “Ma nell’’innovazione bisogna essere i primi, non i secondi, mantenendo uno sguardo aperto sul panorama scientifico mondiale. È importante sapere cosa fanno gli altri, appropriarsene ed evolverlo”. Per Spina “Non possiamo ricadere nella sindrome del Not Invented Here, dobbiamo anzitutto adottare in Italia le idee più innovative che lo stato dell’arte globale propone nella maniera più veloce possibile ed immediatamente dopo dedicarci allo sviluppo ulteriore delle stesse”.

Da dove parte e in che direzione va il Gcap

La genesi del programma risale a quella che il generale Luca Goretti, capo di Stato maggiore dell’Aeronautica militare, ha definito “l’idea di questi uomini vestiti di azzurro”, i quali, anni addietro, si chiesero quali sarebbero state le capacità che avrebbero dovuto avere gli aeroplani del futuro e se l’Italia se le sarebbe potute permettere. “Si è guardato alle università, alle industrie, alle tecnologie, alle minacce e a cosa si voleva ottenere. Alla fine si è visto che c’era voglia di cambiare”, ha raccontato Goretti. Le stesse domande che si erano posti i vertici dell’Am furono poste a un gruppo di giovani ufficiali, i quali avrebbero dovuto teorizzare le capacità e i futuri requisiti operativi della Forza armata. A questo punto, era necessario capire se tali requisiti potevano essere accostati a quelli dei partner ma, come spiega Goretti “per capirlo era necessario comprendere le loro culture. Quella inglese la conoscevamo già, mentre nel caso dei giapponesi, l’esperienza con l’International flight training school di Leonardo ci è stata utile a capire cosa volessero. Ricercavano mutual trust e credibilità”. Secondo il capo dell’Am, proprio la credibilità in termini di capacità tecnologiche e rapporti paritetici è il segreto alla base del successo del programma Gcap. “L’Italia ha fatto da coordinatore tra i due partner” ha rivelato Goretti, aggiungendo che “nei progetti precedenti il coordinamento mancava, perché ognuno pensava a portarsi a casa il proprio workshare”. Stavolta, la chiave del successo sarà una collaborazione paritetica al 33% tra i partecipanti e in questo l’Italia giocherà un ruolo cruciale: “sta a noi mantenere unita e compatta la compagine che sarà il programma Gcap. Se saremo in grado di mantenere questa compattezza, non ce n’è per nessuno”.

L'industria si prepara alla sfida del Gcap. La chiave è fare sistema

Un salto generazionale attende l’industria della Difesa italiana, è quello dello sviluppo del caccia Gcap. Un sistema di sistemi all’avanguardia che pone non solo sfide tecnologiche, ma anche organizzative e istituzionali. Se ne è parlato alla Camera dei Deputati, in un evento promosso da Formiche e Airpress che ha riunito tutti i principali stakeholder del programma, con Giorgio Mulé, Stefano Pontecorvo, Domitilla Benigni, Riccardo Procacci, Giovanni Soccodato, Claudia Mona, Antonio Alunni, Frank Spina, e il generale Luca Goretti

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