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In Alaska, ad Anchorage, presso la baia di Cook si sono incontrati i rappresentanti degli Stati Uniti e della Cina. La partecipazione del Segretario di Stato Anthony Blinken e del Consigliere per la Sicurezza Nazionale Jake Sullivan non è affatto casuale. Esiste, infatti, un precedente.

La Cina, in passato, avrebbe tentato di far scontrare le due figure, ma l’Amministrazione democratica intende mostrarsi unita e coordinata nel relazionarsi con il suo competitor. Durante l’incontro Pechino è stata rappresentata dal Consigliere diplomatico Yang Jiechi e dal Ministro degli Affari Esteri Wang Yi.

Washington ha ribadito in diverse occasioni che gli approcci spazieranno dalla cooperazione alla conflittualità, passando per la competitività. Tutti, però, prevedono la partecipazione degli alleati per contenere il revisionismo cinese, come dimostrato dai recenti incontri con le potenze dell’area Indo-Pacifica. La Casa Bianca ha detto chiaramente che non intende cedere a compromessi, mentre lo stesso Blinken ha riaffermato da Tokyo l’impegno statunitense a reagire qualora la Cina intendesse ricorrere alla coercizione o all’aggressione per ottenere ciò che vuole.

L’incontro diplomatico, atipico per la mancanza di un pranzo tra le due delegazioni e la violazione dei tempi prefissati, ha raggiunto toni accesi sin dalle prime fasi. È chiaro che entrambe la parti abbiano posizioni solide e opposte. Nelle osservazioni d’apertura, Blinken e Yang hanno reciprocamente criticato le politiche adottate, lasciando presagire un confronto ancora più tagliente in privato, sebbene il Segretario statunitense abbia fatto notare che questo tipo di dichiarazioni siano solitamente fatte più per l’uditorio interno che per la controparte presente.

Il meeting ad Anchorage giunge dopo il rilascio dell’Interim National Security Strategic Guidance, che dipinge la Cina come l’unico competitor potenzialmente in grado di sfidare – sul fronte economico, diplomatico, militare e tecnologico – gli Stati Uniti e quindi l’equilibrio del sistema internazionale.

Così si è espanso il divario, una potenziale voragine, tra le due potenze che nutrono aspirazioni diverse su temi quali il commercio, i diritti umani in Tibet, Hong Kong, la regione dello Xinjiang, il presunto genocidio perpetrato ai danni degli uiguri, Taiwan e l’assertività cinese nel Mare Cinese Meridionale e, ultimo ma non meno importante, la pandemia.

Le recenti sanzioni imposte contro degli ufficiali cinesi ad Hong Kong, in seguito alla modifica unilaterale del sistema elettorale, non hanno costituito una buona premessa per il meeting. Blinken ha apostrofato queste azioni come una minaccia per la stabilità globale, basata su delle regole.

Secondo la Cina, si tratterebbe di questioni interne e dunque non discutibili con gli Stati Uniti che, ha proseguito il diplomatico cinese, usano la forza militare ed economica per sopprimere gli altri Stati. Il Ministro degli Affari Esteri ha accusato Washington di non essere mai stati qualificati a parlare con Pechino da una posizione di forza.

La Cina, ha affermato il Consigliere Yang, condivide i valori comuni all’umanità quali la pace, lo sviluppo, l’equità, la giustizia, la libertà e la democrazia. Ma ha poi affondato la spada, prendendo le distanze dalla democrazia statunitense, la cui promozione comprende l’uso della forza o cambiamenti di regime.

Il diplomatico ha poi proseguito affermando che non è compito americano diffondere il loro modus vivendi nel mondo e non dovrebbero farlo proprio perché vi è molto scetticismo sul rispetto dei diritti umani negli Stati Uniti. La Cina riporta di aver fatto progressi, mentre lo stesso non potrebbe dire Blinken del suo Paese e cita il movimento Black Lives Matter. A tal proposito, il Consigliere per la Sicurezza Nazionale ha asserito che un Paese sicuro di sé è capace di guardare alle sue mancanze cercando costantemente di migliorarle.

Successivamente Wang ha aggiunto che i recenti sviluppi hanno sensibilmente peggiorato le relazioni bilaterali, danneggiando gli interessi dei due popoli, ma non c’è modo di soffocare la Cina. L’invito rivolto alla Casa Bianca è di non tentare ulteriori mosse egemoniche.

Blinken, intervenuto nuovamente, ha riportato i risultati raccolti nei tre giorni di meeting con gli alleati dell’area Indo-Pacifica e il loro compiacimento nel ritorno degli Stati Uniti, mitigato dalla preoccupazione per la postura cinese. Sullivan ha precisato, tuttavia, che gli Stati Uniti non cercano il conflitto ma accettano la competizione serrata.

Il legame sino-statunitense si è progressivamente deteriorato e ha finito per lacerarsi ulteriormente dopo la diffusione della pandemia. Sinora l’amministrazione Biden ha solo retoricamente accettato la conflittualità, ma l’aggiornamento del report Hong Kong Autonomy Act rimarca la linea precedentemente tracciata da Trump mentre alcuni tra le fila repubblicane si congratulano timidamente per l’atteggiamento del presidente Biden verso la Cina.

Questa, al contrario, auspicherebbe la sospensione delle sanzioni imposte dall’Amministrazione repubblicana, la fine delle pressioni esercitate sulle industrie nazionali e una cooperazione basata sul business. Sebbene i tratti di continuità siano innegabili, sembra che il 78enne democratico intenda calpestare le mine della sua presidenza piuttosto che aggirarle.

Uno spiraglio, seppur minimo, sembra essere offerto dalla stessa delegazione cinese che ha invitato i due Paesi a cooperare per fronteggiare la pandemia, il declino dell’economia e il cambiamento climatico nell’ottica di assicurare la pace e lo sviluppo del mondo. Per fare ciò, gli Stati Uniti dovrebbero smettere di pensare di trovarsi nel bel mezzo di un gioco a somma zero. Se le aspettative per il meeting erano diminuite quando entrambi i Paesi ne avevano ridotto la portata definendolo non strategico, potrebbero essere molto più incisivi gli esiti dell’incontro tra Russia e Cina, fissato per lunedì.

Ad ogni modo, incontri del genere sono particolarmente allettanti per la Cina, dove è ancora vivo il ricordo del secolo delle umiliazioni e le vessazioni delle potenze straniere. Un’ulteriore condizione per lo sviluppo del dialogo tra le due grandi potenze è, a detta di Pechino, la comprensione reciproca.

Di fatto, il meeting non ha incrinato il ghiaccio ma ha costituito un’occasione per testare le acque, conoscersi e discernere tra retorica e realtà. Se l’ultima parola dell’incontro è stata pronunciata dal Consigliere diplomatico Yang, riecheggiano le conclusioni del Segretario di Stato Blinken che ricorda come scommettere contro gli Stati Uniti non sia mai una buona scommessa.

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