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Fra i commentatori e gli opinionisti di centrodestra si è acceso un dibattito alquanto paradossale: se cioè, con l’appoggio probabile a Mario Draghi, la Lega “tradisca” il suo dna e i suoi elettori, diventando di colpo “europeista”, oppure, come osservava il bravo Federico Punzi su Atlantico, Salvini si proponga forse semplicemente di continuare la battaglia “sovranista” con altri mezzi. Purtroppo, la politica non si presta per sua natura ad antitesi o contrapposizioni così nette e precise. Anche perché in politica, il contesto, o se si preferisce la situazione storica, è tutto.

Il “sovranismo”, termine fra l’altro improprio e come evidenziato a suo tempo anche su queste colonne destinato a scomparire presto nell’uso (direi che è già scomparso), indicava una serie di partiti e movimenti che contestavano la struttura assunta dall’Unione europea dal trattato di Maastricht in poi. E contestavano altresì quella che ne era per lo più l’ideologia di supporto: affossatrice delle identità culturali e nazionali che fanno ricco e plurale, e libero, il nostro continente. Le due forze contrapposte si provarono nelle elezioni europee del maggio 2019, a cui seguì la nascita di un governo, la nuova Commissione, che presentava una maggioranza che metteva insieme, con verdi e altre forze, i  due maggiori partiti storici “europeisti” un tempo contrapposti: popolari e socialisti. Ursula von der Leyen fu eletta per pochi voti, soprattutto con quelli determinanti dei nostri grillini. In conseguenza più o meno diretta, una nuova maggioranza fece nascere anche in Italia un nuovo governo, senza la Lega. Dopo pochi mesi ci fu la pandemia e il nuovo governo europeo, insieme a quelli nazionali (in prima fila il nostro) furono messi duramente alla prova in una battaglia che si è configurata come la più grave crisi del dopoguerra.

Un po’ per intelligenza politica (sotto sotto tutti sapevano che i “sovranisti” non erano degli extraterrestri ma rappresentavano interessi e sentimenti diffusi e mettevano il dito nella piaga di evidenti criticità); un po’ per il corso stesso preso dagli eventi (alla crisi pandemica se ne è subito aggiunta una economica), l’Europa ha cambiato, forse provvisoriamente forse no, molti moduli e schemi di gioco. Senza dirlo, in altre parole, ha introiettato dosi non irrilevanti di “sovranismo”. A questo punto, i “sovranisti” veri e propri, che erano forze per lo più oppositive e comunque poco coese e unitarie al loro interno, potevano reagire in due modi: o far finta che tutto fosse rimasto come pima, e quindi gridare nella foresta come gli ultimi giapponesi; oppure elaborare delle nuove proposte e inserirsi nel gioco politico per affermarle facendo leva anche sulle contraddizioni presenti nel nuovo potere.

Ora, scegliere la prima strada, può essere anche “nobile testimonianza” di una coerenza, però astratta e formale, ma ha a mio avviso il grosso handicap non solo di impedire che si tocchi palla e si possa aspirare concretamente di andare al governo in un prossimo futuro (e la politica che non si fa governo che politica è?), ma anche e soprattutto di non corrispondere più né alla situazione in atto (la mezza “rivoluzione europea” causata dalla pandemia) né al sentimento diffuso nella popolazione. Una posizione rispettabile, forse, ma certamente irrealistica. E che, fra l’altro, mettendo i buoi davanti al carro (casomai prospettando chissà quali “complotti” dietro l’angolo), si preclude in partenza di incidere nei processi. Un po’ come quei giovani che, sicuri e tranquilli nel focolare domestico, non vogliono uscire fuori di casa e diventare adulti.

La scelta di Matteo Salvini di uscire dal guado si sta profilando a mio avviso come la più saggia per lui, per quello che stando ai sondaggi è il primo partito italiano e per il Paese. Ne guadagna molto la sua leadership perché la politica è fatta di due momenti: quello di raccogliere fiducia e consensi, e quindi voti, e in questo nessuno può insegnare al Capitano nulla; ma anche di far pesare quei voti per quanto valgono.

Matteo Salvini

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La scelta di Salvini di uscire dal guado si sta profilando come la più saggia per lui e per il suo partito. Ne guadagna molto la sua leadership perché la politica è fatta di due momenti: quello di raccogliere fiducia e consensi, e quindi voti, e in questo nessuno può insegnare al Capitano nulla, ma anche di far pesare quei voti per quanto valgono. L’opinione di Corrado Ocone

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