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La decisione dell’Unione europea di concludere la scorsa settimana l’accordo sugli investimenti con la Cina “non è un ripudio dell’approccio di Joe Biden. È un ripudio dell’approccio di Donald Trump. Questo è il prezzo di quattro anni di alienazione dei nostri alleati e di rifiuto di lavorare con loro su questi temi”. A dichiararlo, nel corso di un’intervista rilasciata alla CNN, è Jake Sullivan, veterano delle amministrazioni di Barack Obama e oggi scelto dal presidente eletto Biden come consigliere per la Sicurezza nazionale. Proprio lui che, due settimane fa, affidava a Twitter la sua delusione per l’accelerazione di Bruxelles (o per meglio dire Berlino) nelle trattative con Pechino senza attendere l’insediamento della nuova amministrazione.

LA NUOVA LINEA BIDEN

Come spiegare questo repentino cambio di direzione da parte del team Biden e questa nuova linea — “colpa di Trump” — sull’accordo tra Unione europea e Cina ma anche sul Partenariato economico globale regionale (l’intesa che la Cina ha firmato a metà novembre con Giappone, Corea del Sud e un’altra dozzina di Paesi)? Intervistato da Formiche.net dopo la conclusione delle trattative tra Bruxelles e Pechino, Carlo Pelanda, docente di Geopolitica economica all’Università Guglielmo Marconi ed esperto di Studi strategici, aveva spiegato il silenzio degli Stati Uniti dopo quel tweet del consigliere Sullivan, che raccontava insofferenza per le mosse europee ma anche per quanto accaduto nell’Indo-Pacifico: il team Biden ha “ricevuto rassicurazioni dai tedeschi” in merito alla “collocazione dell’Unione europea a guida tedesca nel conflitto fra Stati Uniti e Cina”. Così Pelanda aveva riassunto il tentativo di Berlino: cercare “un accordo con gli Stati Uniti che includa anche la definizione di uno spazio concordato di relazioni commerciali con Cina e Russia”.

VERSO UN DIALOGO USA-CINA?

Il consigliere Sullivan ha spiegato che le preoccupazioni statunitense verso la Cina (da gestire con i Paesi like-minded) “non riguardano solo il commercio, ma anche la tecnologia, i diritti umani, l’aggressività militare”. Ma nell’intervista ha anche sottolineato che gli Stati Uniti sono pronti a lavorare con la Cina “quando è nel nostro interesse farlo”, come per esempio sui cambiamenti climatici. Timidi segnali di apertura. Gli stessi che sembrano arrivare da Pechino con le aperture del ministro degli Esteri Wang Yi (“Siamo pronti a sviluppare con gli Stati Uniti un rapporto basato su coordinamento, cooperazione e stabilità”). È in tal senso che va letta la firma dell’accordo con l’Unione europea (in attesa del voto affatto scontato del Parlamento europeo)? È quanto ha spiegato a Formiche.net Giuseppe Gabusi, docente di International Political Economy e Political Economy dell’Asia Orientale presso l’Università degli Studi di Torino e direttore del programma Asia Prospects di T.wai (Torino World Affairs Institute): l’accordo sugli investimenti è anche “un segnale della Cina a Biden: a certe condizioni di mutuo rispetto Pechino è disposta a far ripartire il dialogo”.

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