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La seconda amministrazione Trump sta ridisegnando il panorama globale della ricerca scientifica. A colpi di tagli e riforme strutturali, la Casa bianca ha avviato un processo di ridefinizione delle priorità interne che rischia di compromettere la storica leadership americana in settori chiave come l’intelligenza artificiale e la biomedicina. Il cuore del ridimensionamento è il massiccio taglio al budget dei National institutes of health, per cui si punta a una riduzione di quasi 18 miliardi di dollari e a una riorganizzazione che ne riduce da ventisette a cinque i centri operativi. Tra le vittime, l’Istituto per la ricerca sulle minoranze e quello dedicato alla ricerca infermieristica. Non solo, alcuni progetti relativi a vaccini, mRna e cambiamenti climatici sono stati messi in discussione o accantonati.

UN IMPATTO SIGNIFICATIVO

Secondo uno studio effettuato da un team di economisti affiliati all’Institute for macroeconomic and policy analysis dell’American University, un taglio del 25% ai fondi pubblici per la ricerca ridurrebbe il Pil americano del 3,8% nel lungo periodo – l’equivalente della grande recessione. Eppure la proposta della Casa bianca prevede una riduzione ben superiore. I rischi sono concreti. Perdita di competitività, rallentamento dell’innovazione, minori entrate fiscali. Tutto ciò potrebbe rappresentare la fine del “modello Nih”, che garantiva un ritorno economico stimato in 2,56 dollari per ogni dollaro investito in ricerca biomedica, secondo uno studio di United for medical research, una coalizione di centri e istituzioni di ricerca leader nel settore, associazioni del terzo settore e industria.

LA RISPOSTA EUROPEA

Mentre negli Usa si smantellano interi settori, in Europa si iniziano a lanciare iniziative per intercettare il capitale umano in fuga. La Francia ha lanciato la piattaforma “Choose France for science”, offrendo co-finanziamenti pubblici alle università che accolgono ricercatori internazionali, soprattutto in settori strategici come la salute, il digitale e l’energia. L’Università di Aix-Marseille, ad esempio, accoglierà i primi scienziati americani già a giugno. Il momento è propizio. Una coalizione di dodici governi Ue – dalla Francia alla Lettonia – ha scritto alla commissaria all’Innovazione Ekaterina Zaharieva chiedendo un piano d’azione per attrarre i ricercatori americani. Bruxelles, al contempo, ha annunciato investimenti pari a mezzo miliardo di euro nel periodo 2025-27 con fondi provenienti da Horizon Europe attraverso un riorientamento dei fondi. “Sono qui oggi per affermare che l’Europa sceglierà sempre la scienza. E l’Europa sosterrà sempre la causa degli scienziati del mondo affinchè scelgano l’Europa”, ha affermato la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, nel suo discorso alla Sorbona a inizio mese.

QUALI CONSEGUENZE

Il rischio per Washington è doppio. Se da un lato si delinea uno scenario in cui si indebolisce la propria base scientifica, dall’altro il timore è quello di cedere, simultaneamente, spazio competitivo ad altre regioni. Ma anche per l’Europa la sfida è tutt’altro che semplice. Secondo dati Ocse, infatti, la Cina ha superato Stati Uniti ed Europa nel 2016 diventando la principale fonte mondiale di pubblicazioni ad alto impatto nel settore biotech e, nel 2022, il suo contributo era circa 3-4 volte superiore a quello europeo. Passando ai trial clinici, nel 29% dei nuovi studi è coinvolta Pechino, mentre l’Europa si ferma al 16%, dimostrando un approccio strategico e strutturale del Paese asiatico.

METTERE AL CENTRO RICERCA E INNOVAZIONE

Per recuperare il gap innovativo, il Vecchio continente non può solo offrire un porto sicuro, ma diventa prioritario rimettere al centro innovazione, ricerca e istruzione superiore, in modo strutturale e pragmatico. Perché la competizione globale si gioca anche sulla capacità di attrarre, creare (e trattenere) talenti. I cervelli, è bene ricordarlo, non sono mai solo “in fuga”, ma in movimento. Dove? Verso risorse, visione e stabilità.

(Pubblicato su Healthcare Policy 15)

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