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Per la prima volta dal 1979 un reparto dei Marines americani sarà temporaneamente inviato a Taiwan per fornire training alle unità anfibie dell’isola. Il 1979 è l’anno in cui gli Stati Uniti hanno ufficialmente spostato le loro relazioni diplomatiche da Formosa alla Cina comunista. Dimensione che dipinge l’importanza della notizia, ancor più se inserita nell’impalcatura strategica che gli Usa stanno costruendo nell’Indo-Pacifico in chiara funzione anti-cinese. Impalcatura di cui Taiwan è parte integrante, ambito in cui il confronto Washington-Pechino prende forma e criticità. Il Partito Comunista cinese di Xi Jinping ha infatti più volte dichiarato che nelle sue intenzioni c’è la riannessione di quella che viene considerata una provincia ribelle, senza poter escludere l’uso della forza per raggiungere l’obiettivo (data fissata: 2049, centenario della Repubblica popolare). Recentemente il funzionario del Partito che si occupava dei rapporti con l’isola ribelle, Wang Zaixi, ha avanzato un’ipotesi: la tecnica per la riunificazione potrebbe essere un mix tra pressione politica e militare, con l’occupazione lenta di alcuni isolotti disabitati che Taipei amministra.

Gli Stati Uniti percepiscono il rischio e la vulnerabilità della situazione: sanno che negare al rivale l’obiettivo significa limitarne la proiezione internazionale, e dunque (mentre difendono i diritti taiwanesi in modo ormai molto poco informale) usano il dossier per creare disturbo al rivale. L’arrivo dei Raiders, reggimento parte del reparto operazioni speciali del Corpo dei Marines, serve a mandare un messaggio che passa dal campo tecnico. L’addestramento anfibio alle truppe locali si lega nel quadro di rafforzamento militare che Taiwan sta dipingendo usando la tavolozza americana. Nella “strategia del porcospino”, come l’ha definita il Consigliere per la Sicurezza nazionale statunitense, l’idea è che Taiwan diventi inattaccabile. A questo si legano anche gli ultimi contratti militari chiusi con gli Usa: razzi anti-nave, batterie multiple di artiglieria, aggiornamento della capacità aerea, ora il nuovo addestramento delle unità terrestri. Il clima è da guerra: probabilmente esagerato e parte di una retorica iperbolica che stressa l’intero dossier, ma esiste la possibilità che se conflitto sarà, tra Usa e Cina tutto potrebbe partire da scontri sullo stretto che separa la Repubblica di Cina dal mainland.

Un aspetto interessante dietro al dispiegamento dei Riders riguarda il futuro. La missione è a tempo e con obiettivo, ma non si esclude che possa essere la testa di ponte di qualcosa di più stabile. Da tempo negli Stati Uniti si parla della possibilità di riportare nell’isola taiwanese un contingente fisso o semi-fisso (magari con rotazioni costanti, per evitare di innervosire troppo la Cina, che ha già definito l’eventualità un messaggio di guerra). La questione non cambierà posto tra i fascicoli della Resolute Desk, nonostante a sedersi alla scrivania dello Studio Ovale sarà il nuovo presidente democratico Joe Biden. Il confronto con la Cina, e il punto su Taiwan, saranno parte della prossima amministrazione come dell’attuale, sebbene nelle prossime settimane potremmo vedere un momentaneo rallentamento mentre gli apparati attendono nuovi ordini. Tutto a patto che quanto ipotizzato da Wang, e in discussione da quest’estate a Pechino (per quanto noto e diffuso), non si verifichi nei prossimi due mesi: perché certamente a Washington, sia la squadra uscente che quella di transizione saranno allineate sull’intervenire a difesa dell’isola se la Cina dovesse procedere con mosse aggressive.

 

Cosa c’è dietro al ritorno dei Marines Usa a Taiwan

Altro passo nel rafforzamento militare di Taiwan. Un contingente dei Marines andrà ad addestrare le unità anfibie locali: la strategia del porcospino continua

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