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Da Panda a Lupi guerrieri. Quando si tratta di rete 5G la diplomazia cinese non usa davvero i guanti. Lo ha capito chi si è collegato oggi pomeriggio alla web conference organizzata dall’azienda cinese Zte dal titolo “Perché avere paura del 5G?”.

ZTE E L’ITALIA

“Vogliamo stare in Italia e siamo disposti a investire e a crescere: abbiamo dato fiducia al paese e dimostreremo con le nostre attività che Zte è una società affidabile, trasparente e unica”. A spiegarlo è stato Hu Kun, presidente Western Europe e ceo Zte Italia nel corso della web conference organizzata dalla stessa azienda cinese dal titolo “Perché avere paura del 5G?”. Zte, ha aggiunto Hu, “crede nell’Italia e nelle sue potenzialità per lo sviluppo per cui vogliamo anticipare la modernizzazione del Paese tramite ampi investimenti, l’apertura di nuove sedi e la creazione di nuovi posti lavoro. Abbiamo completato negli ultimi 5 anni il piano da 500 milioni di investimento e per i prossimi 5 anni investiremo un altro miliardo”.

LE CRITICHE AL GOLDEN POWER

Qualche critica all’Italia, però, Hu l’ha mossa. In particolare ha puntato il dito contro “l’abuso” dello strumento Golden power, la cui scure si è abbattuta su Zte e su Huawei nella corsa al 5G. Pure riconoscendone l’importanza ha inviato a non abusarne per salvaguardare la competizione nel mercato libero e per il Paese. Ma nell’appello al mercato il manager sembra tralasciare le ragioni di sicurezza nazionale che hanno spinto l’Italia a mettere in salita la strada dei fornitori cinesi.

LA TRASPARENZA

L’intervento di Hu ha preceduto quello di Peng Aiguang, presidente Europe e America Region del gruppo, che ha messo in luce temi come la trasparenza e l’apertura verso gli stakeholder che sono alla base della risposta di Zte — la stessa offerta dall’altra azienda cinese protagonista del 5G, cioè Huawei — ai timori che hanno portato l’amministrazione statunitense a bandirla dalla sua rete di quinta generazione.

LA SFIDA GEOPOLITICA

Il tema della sfida geopolitica tra Stati Uniti e Cina è stato affrontato da Li Junhua, ambasciatore cinese in Italia: “Nel nostro Paese non sono in vigore leggi che impongono a società cinese all’estero di trasferire i dati in Cina”, ha spiegato con riferimento ai timori statunitensi ma anche alle conclusioni del rapporto con cui il Copasir un anno fa invitava il governo italiano a escludere Huawei e Zte dal 5G italiano — un documento che ha suscitato reazioni dure anche da parte di Huawei. “Ci auguriamo che l’Italia continui a scegliere i vendor 5G in base alle leggi nazionali e del mercato”, ha continuato il diplomatico cinese che ha nuovamente indossato i panni con cui si era presentato nei mesi caldi della pandemia, quelli del “lupo guerriero”, cioè della diplomazia aggressiva (altro che quella più “gentile” del panda). E ancora: “Rigettiamo gli attacchi su 5G, che non può essere politicizzato, non ci sono prove dell’insicurezza né backdoor. Occorre creare un ecosistema per far scegliere in libertà società e cittadini”.

LA RISPOSTA DI URSO (COPASIR)

Che cosa può fare Zte — ma anche Huawei — per dare maggiori garanzie? A rispondere — anche, indirettamente, all’ambasciatore Li — è stato Adolfo Urso, vicepresidente del Copasir e senatore di Fratelli d’Italia. “Cambiare le leggi cinesi”, ha spiegato il senatore di Fratelli d’Italia con riferimento a due norme — National Security Law e Cyber Security Law —che prevedono, come spiegava il rapporto del Copasir, “che in Cina gli organi dello Stato e le stesse strutture di intelligence possono fare pieno affidamento sulla collaborazione di cittadini e imprese, e ciò sulla base di specifiche disposizioni legislative”.

IL DISCORSO DI D’ALEMA

C’era grande curiosità per il discorso di Massimo D’Alema, ex presidente del Consiglio oltre che del Copasir. L’ex premier ha ringraziato Zte per “gli investimenti fatti e che prevede di fare” e ha sottolineato che a una prospettiva di cooperazione “non c’è alternativa”. Questo, anche se oggi “appare così difficile muovere in questa direzione”, ha aggiunto parlando dello scenario internazionale e definendo le preoccupazioni statunitense per la sicurezza nazionale dinnanzi ai fornitori cinesi di 5G come “posizioni strumenti”. Un modo, ha proseguito, “di portare la competenza economica — legittima — sul terreno di pretese ragioni di sicurezza. Ma è evidente che l’uso di strumenti di una grande società cinese non compromette” la difesa dei dati. Con l’auspicio che sotto la presidenza di Joe Biden gli Stati Uniti possano tornare alla multilateralismo aprendo così a una de-escalation con la Cina che interessa anche “noi europei”, ha spiegato, D’Alema ha fatto appello alla Cina a comportarsi da grande Paesi aprendo i mercati e offrendo garanzie sulla proprietà intellettuale ma ha anche sottolineato che, a suo modo di vedere, “l’Occidente non può considerare la Cina una minaccia”.

Più di Huawei, Zte. Così la lobby cinese fa pressing sull’Italia. Ecco i dettagli

L’amministratore delegato di Zte Italia promette: “Disposti a investire e crescere”. Ma critica la politica per “abuso” del Golden power. Anche l’ambasciatore Li corre in difesa del colosso del 5G: “Non ci sono leggi che impongono il trasferimento di dati nel nostro Paese”. Ma Urso (Copasir)…

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