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Come prevedibile, la seconda ondata è arrivata. La curva epidemica è tornata a crescere esponenzialmente e chi ci governa cerca di inseguire gli eventi Dpcm dopo Dpcm. E mentre l’opinione pubblica si divide tra chi invoca misura più severe e chi dice che così l’economia va allo sfascio, il nodo istruzione continua a rimanere in secondo piano.

Eppure, l’istruzione ai tempi del Covid-19 rimane un problema grandissimo, di cui un Paese avanzato come il nostro non può non occuparsi. Come ha giustamente detto il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, bisogna fare di tutto perché l’epidemia non aggravi ulteriormente le disuguaglianze sociali esistenti. E se c’è un tipo di disuguaglianza che produce effetti

Sergio Mattarella

particolarmente sperequativi, quella è la disuguaglianza educativa.

Perché come ha detto Mattarella “la scuola è specchio della società, e ne riflette le difficoltà, ne riflette le aspettative”.

E sta crescendo nel mondo delle imprese la consapevolezza che la diseguaglianza educativa si vincerà solo grazie all’impegno di tutti.

Come ben sottolineato dal Presidente della Fondazione Deloitte, Paolo Gibello, con la seconda ondata pandemica l’Italia torna a vivere una nuova emergenza educativa. Perché «nonostante il grande aiuto che ci è stato fornito dalla tecnologia, l’Italia non era pronta – e non lo è ancora – a passare a una didattica digitale. Secondo l’Istat, solo il 6,1% degli studenti tra i 6 e 17 anni vive in nuclei familiari dove è disponibile un computer per componente. Le disuguaglianze sociali sono ancora più allarmanti nel Mezzogiorno, dove 4 famiglie sue 10 non dispongono nemmeno di un pc. Non meno significativo il dato secondo cui un italiano su quattro non dispone di una connessione a banda larga».

Un quadro dal quale emerge con chiarezza che chi era già indietro, con la seconda ondata, rischia di rimanere ulteriormente penalizzato, venendo tagliato fuori da quel diritto all’istruzione che, al pari del diritto alla salute e al lavoro, costituisce uno dei pilastri della nostra convivenza democratica. Uno scenario che diventa particolarmente allarmante se analizzato nei suoi possibili effetti di lungo periodo. Come è noto, infatti, un Paese che non investe in istruzione e ricerca, è un Paese destinato a declinare dal punto di vista della competitività economica e, dunque, della coesione sociale.

«In linea con le evidenze dell’Istat», spiega Gibello, «ci sono i dati dell’Osservatorio della Fondazione Deloitte. Secondo il nostro studio, circa un’azienda su quattro (23%) non riesce a trovare i profili STEM (Science, Technology, Engineering, Mathematics) di cui ha bisogno. Tra questi spiccano le professioni legate all’Information Technology (IT): informatici, ingegneri, esperti di cyber-security. Profili professionali sempre più ricercati e che in Italia si trovano a fatica. Leggendo i dati Istat si capisce il perché: siamo un Paese che non investe nella formazione dei giovani e che fa ancora meno per essere al passo con i tempi in ambito di formazione tecnico-scientifica».

Paolo Gibello - Fondazione Deloitte
Paolo Gibello- Fondazione Deloitte

Come ricorda Gibello, esiste una correlazione positiva tra i livelli di investimento in Istruzione e Ricerca e livelli di innovazione e competitività economica di un Paese. Investire in istruzione, quindi, è più necessario che mai. Non solo ora che la pandemia mette in pericolo il diritto all’accesso all’istruzione di tanti giovani. Ma anche nei prossimi mesi, quando saremo chiamati a individuare le priorità per rilanciare la nostra economia. Grazie al Recovery Fund avremo la possibilità di farlo. E dobbiamo farlo se vogliamo tornare a crescere. Non possiamo perdere questa occasione.

Investire in Istruzione. Investire nel Futuro

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