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Dal 22 gennaio del prossimo anno il Trattato Onu sul divieto delle armi nucleari entrerà in vigore e diventerà vincolante diritto internazionale. Decisiva l’adesione dell’Honduras, cinquantesimo Paese a firmare una bozza che circola al Palazzo di Vetro dal 2017 – anno in cui l’International Campaign to Abolish Nuclear Weapons (Ican) vinse il Premio Nobel per la Pace per aver contribuito al lavoro di diffusione del Trattato di Proibizione delle Armi Nucleari (Tpnw).

Nell’anniversario del settantacinquesimo anno dell’Onu, e a 75 anni dallo sgancio di “Little Boy” sulla città giapponese di Hiroshima, l’arma atomica – da sempre dimensione strategica di un Paese – finisce sotto la sfera dell’illegalità internazionale. “È un traguardo incredibile per il nostro movimento e siamo incredibilmente orgogliosi di ciò che tutti abbiamo raggiunto insieme! E no, questo non significa che il lavoro sia terminato”, scrive l’Ican nella sua pagina Facebook dopo che – il 24 ottobre, 75ª Giornata delle Nazioni Unite, e inizio della Settimana Internazionale per il Disarmo – l’Honduras ha ratificato il trattato seguendo di un giorno Giamaica e Nauru.

“Oggi è una vittoria per l’umanità e una promessa di un futuro più sicuro”, ha detto in un comunicato Peter Maurer, presidente del Comitato internazionale della Croce Rossa. Con il Tpnw sarà impedito specificamente l’uso, lo sviluppo, i test, la produzione, la fabbricazione, l’acquisizione, il possesso, l’immagazzinamento, il trasferimento, la ricezione, la minaccia di usare, lo stazionamento, l’installazione o il dispiegamento di armi nucleari. Un eccellente base giuridica, la prima che definisce illegali le armi atomiche, che però si scontra con limiti tecnici enormi.

Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Cina e Russia, tutti Paesi dotati di arsenale nucleare, non hanno firmato il trattato – non lo ha fatto nemmeno l’Italia (nonostante secondo un sondaggio Ican del 2018 sette italiani su dieci volevano l’adesione di Roma). È un chiaro passaggio controverso l’assenza di potenze atomiche nell’intesa Onu, ma nel realismo delle relazioni politiche internazionali e della geopolitica globale è del tutto comprensibile. Gli Stati Uniti hanno scritto ai firmatari del trattato dicendo che l’amministrazione Trump ritiene che abbiano commesso “un errore strategico”, esortandoli a revocare la loro ratifica. La lettera, ottenuta dall’Associated Press, sostiene che le cinque potenze nucleari originarie – Stati Uniti, Russia, Cina, Gran Bretagna e Francia – e gli alleati della Nato “sono uniti nella nostra opposizione alle potenziali ripercussioni” del trattato.

Come detto, ci sono ragioni dietro a certe posizioni. Gli Usa per esempio sono impegnati nel convincere la Russia a firmare un accordo per il rinnovo del New Start, trattato bilaterale sulla non-proliferazione. Washington – che recentemente ha unilateralmente deciso di uscire da un’intesa simile, collegata alle armi nucleare ai medio-corto raggio – ha però un obiettivo più ampio: includere la Cina in un trattato per lo stop alla corsa atomica. Pechino è riluttante: il Partito/Stato è completamente lanciato alla conquista del mondo e sa che nella realpolitik che si prospetta in futuro (di cui già nel presente abbiamo chiare evidenze) possedere l’arma atomica è ancora importante. È questione di equilibri e deterrenza, su cui la Cina ha negli ultimi anni impresso una spinta: produrre più sistemi nucleari per essere inquadrata come potenze, e per farlo ha sfruttato proprio la possibilità offerta da trattati che la vedono esterne (esclusa perché ai tempi della loro ratifica non aveva le dimensioni attuali).

Allo stesso modo, nazioni coma la Francia difficilmente rinunceranno alla bomba, che come detto ha valore strategico. In un’Europa spacchettata e poco coesa, dove dalla pandemia è uscita chiara la volontà di fondo di ogni Stato di difendere i propri singoli interessi (ben sopra e ben oltre il soffio comunitario), per Parigi possedere l’unico deterrente strategico dell’Unione è un valore aggiunto – ricatto militare da tenere in mano davanti alla Germania. E lo stesso dicasi per il Regno Unito: la Global Britain che si sta configurando post-Brexit difficilmente si priverà dell’arma che dà all’isola dimensione di potenze. Idem per India e Pakistan, Paesi che vivono una quotidiana stabilità relativa, dove la ragione delle armi – e della loro minaccia o deterrenza – ha un valore.

Il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha comunque definito il Tpnw “il culmine di un movimento mondiale per attirare l’attenzione sulle catastrofiche conseguenze umanitarie di qualsiasi uso di armi nucleari”: “Rappresenta un impegno significativo verso la totale eliminazione delle armi nucleari, che rimane la massima priorità di disarmo delle Nazioni Unite”. Affermando che il suo Paese ha svolto un “ruolo decisivo”, il cancelliere austriaco, Sebastian Kurz, ha scritto su Twitter che è stato “un passo importante verso il nostro obiettivo di un mondo senza armi nucleari”.

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