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Quanto è accaduto e sta accadendo in queste settimane rappresenta una chiusura d’anno degna di nota e densa di significato. In particolare due notizie su tutte meriterebbero maggiore rilevanza di quella avuta. La prima riguarda una bandiera rossa con cinque stelle gialle, sventolante (si fa per dire) sulla Luna. La Cina è infatti arrivata sul satellite naturale come si era impegnata a fare, con una missione, la Chang’e 5, in grado di riportare indietro frammenti del suolo lunare. L’avevano già fatto americani e russi, ma non recentemente. La Cina lo ha fatto ora: decollo, ingresso in orbita lunare, allunaggio, operazione robotica di prelievo, ritorno in orbita lunare cui sta facendo seguito, proprio in queste ore, il rientro verso la superficie terrestre.

Nell’ambito degli sforzi governativi, Pechino ha così dimostrato di avere la leadership in termini di capacità tecnologica e operativa, oltre che di determinazione e disciplina organizzativa: trovando il corretto equilibrio tra l’ampliamento della propria frontiera tecnologica e il giusto rischio. La Cina sta in effetti bruciando le tappe, tra la navicella Shenzhou, il progetto per la loro nuova stazione orbitante e la ricca scelta di nuovi lanciatori, tra i quali il super heavy (Long March 9).

Anche dall’altra parte dell’oceano l’anno si conclude con il “botto”, questa volta non in senso figurato. È l’esplosione della Starship numero otto di Elon Musk. Un’esplosione prevista, quasi voluta, al termine della missione addestrativa che è arrivata al limite dell’incredibile: un gigantesco razzo di 50 metri, del peso di oltre cento tonnellate, spinto fino a 15 chilometri d’altezza da tre dei potentissimi motori Raptor, lasciato poi letteralmente cadere attraverso la manovra “belly flop” (a rotazione) e il successivo atterraggio, per questa volta non abbastanza soft, ma comunque incredibilmente preciso. Inutile dire che la successiva navetta, la numero 9 è già quasi pronta, come in sequenza tante altre.

Da una parte e dall’altra del pianeta, le due situazioni appaiono, per quanto diverse, estremamente significative essendo chiara evidenza di chi sarà indiscusso attore nello scenario internazionale: da un punto di vista governativo, la Cina che vince su tutti per chiarezza di strategie e coerenza organizzativa; per il ruolo dei privati, gli Stati Uniti, in primis con Musk, il Falcon 9, il Falcon Heavy, Starlink e Starship, che vince su tutti come capacità di innovare.

Merita sicuramente una riflessione ciò che è nel mezzo, ovvero quanto è accaduto nel 2020 in Europa e, in particolare, in Italia. Notevole è stato lo sforzo di riorganizzazione, sia per la ormai ben nota selezione del nuovo direttore generale dell’Esa (l’austriaco Josef Aschbacher), sia per la ristrutturazione dell’Asi, che chiude l’anno con una configurazione pressoché definitiva, quantomeno come struttura. Ci sono insomma tutte le condizioni per ben iniziare il 2021 e organizzare opportunamente sia gli sforzi nazionali ed europei, sia le collaborazioni internazionali. Insomma, decidere una strategia da implementare poi attraverso la nostra sempre più strutturata space diplomacy.

Ignorare gli stimoli che vengono da oriente sarebbe un errore; allo stesso modo sarebbe un errore non fare tutti gli sforzi possibili per comprendere il nuovo irrituale linguaggio del mondo dei privati statunitense. Soprattutto sarebbe una gravissima perdita di opportunità non comprendere che sono due realtà parallele, che non interferiscono l’una con l’altra e che possono trovare un equilibrio in sinergia, nell’interesse e a vantaggio di tutti.

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