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Senza cedere al fascino delle frasi a effetto come quella di Kissinger sulla “fine del nostro mondo post Covid-19”, è opinione condivisa che la pandemia non abbia per sé prodotto cambiamenti copernicani nelle relazioni internazionali, ma accelerato processi e trend già in atto. Fra tutti l’indebolimento della governance globale e la crisi del multilateralismo. Il Covid ha scatenato una crisi di capacità di anticipazione della comunità internazionale. Malgrado i numerosi campanelli d’allarme, infatti, è mancata una risposta internazionale coordinata. Ciò non solo per la debolezza della forza di mobilizzazione connessa ai rischi per la salute, ma anche perché frammentazione politica e tensioni hanno prevalso nella politica internazionale dominata dalla logica transazionale. Tutto questo mentre Pechino raccoglieva i frutti degli investimenti fatti nel sistema Onu, proponendo attivamente una visione di multilateralismo basata sui pilastri della “cooperazione vantaggiosa per tutti” e della “comunità con un futuro condiviso per l’umanità”.

La pandemia, accrescendo la complessità del nostro mondo, influenza tutti: Usa, Cina, Russia, Ue. Sembra che il mondo che verrà continui a esibire tutte le rivalità di quello vecchio con una novità: l’assenza di una potenza-guida, un mondo “G-Zero”, senza regole universali, in conflitto per la supremazia tecnologico-sanitaria, forse più che per quella militare. E l’Italia? Nel mondo G-Zero di oggi deve abituarsi a navigare in mare aperto senza dare per scontate amicizie e inimicizie, identificando il proprio interesse nazionale, dandosi un sistema decisionale efficiente, assumendo sempre più responsabilità senza delegarle troppo agli organismi multilaterali. E se l’autorevolezza e la solidità delle organizzazioni internazionali dipende dall’autorevolezza e dalla solidità dei loro Stati membri, si può concludere che Stati forti e autorevoli rafforzerebbero il multilateralismo oggi in crisi. Rafforzare le capacità, all’occorrenza, di poter decidere in proprio è cruciale quanto accrescere la partecipazione delle proprie opinioni pubbliche.

L’opinione pubblica non può entrare in gioco solo come macchina di consenso (e di voti), ma deve contribuire, in modo informato, ai processi decisionali responsabilizzando i propri rappresentanti. Far crescere consapevolezza e responsabilità è essenziale. Come lo è ricercare partner e alleati con i quali compiere percorsi comuni, distinguendo gli uni dagli altri. Con i primi entrano in gioco gli interessi, con i secondi sono i valori a fungere da collante. La capacità di discernere è decisiva. Lavorare insieme tra Stati willing, senza troppi distinguo, ricostruendo la dimensione multilaterale, è la prospettiva di speranza per il futuro. I nostri interessi nazionali si riassumono oggi nello stare in Europa senza rinunciare a far sentire la propria voce, ma anche senza cedere a seduzioni alternative.

Oggi più che mai è nelle mani di Paesi come il nostro che si trovano le chiavi del futuro dell’Europa. Perseguire il rafforzamento dell’Unione e consolidare il rapporto transatlantico (le due architravi sulle quali si è retta e si regge la pace sul continente europeo, ammaccate ma non crollate) è sicuramente una priorità. Da soli non si va lontano. Il saldo fra oneri e opportunità dell’appartenenza all’Unione e del rispetto delle regole comuni rimane positivo per il nostro Paese, laddove i costi dell’isolamento sarebbero altissimi. Quanto mai nel nostro interesse sono sia la convergenza con le economie più forti, sia il legame inevitabile fra rispetto collettivo delle regole e obiettivo di una più marcata integrazione; mentre proprio l’Europa resta il destinatario naturale delle nostre legittime richieste di condizioni e regole più idonee a promuovere la crescita e a gestire in modo più corale ed efficace il nodo dei flussi migratori.

Le scelte europea e transatlantica sono dunque imprescindibili, ma impongono la consapevolezza che il tradizionale quadro di riferimento organico, definito e multilaterale non è più idoneo a garantire un grado di protezione accettabile. Centrale è, dunque, un rilancio del multilateralismo, specie per i Paesi europei. Per superarne la crisi oggi bisogna partire con un approccio bottom up, dagli interessi concreti, promossi da coalizioni di Paesi che intenda-no compiere lo stesso percorso, per dirigersi auspicabilmente nella medesima direzione.

In un mondo multi-concettuale diventa allora prioritario ricercare temi unificanti e fra tutti quelli della sicurezza cibernetica e dei cambiamenti climatici sembrano i più adatti a lanciare un simile esperimento. La pandemia ci ha ricordato l’importanza di un approccio strategico, che impone la considerazione di e l’adattamento a diversi scenari: al tempo del Covid lo stesso vale, a fortiori, per le relazioni internazionali. Meglio prepararsi per tempo.

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