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È un’enciclica teneramente dura! E per tanti motivi. Ma andiamo in ordine. L’enciclica – esprimo qui delle osservazioni personali dopo una prima lettura – corre su due binari: commentare e confermare il documento firmato con il Grande Imam Ahmad Al-Tayyeb: “Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune”, firmato ad Abu Dhabi il 4 febbraio 2019 e, l’altro binario, raccogliere alcune preoccupazioni su questo mondo non solo nell’attuale crisi della pandemia, ma anche apportando alcune considerazioni che il papa ha fatto in questi anni (è citata la pandemia ma anche la crisi economica 2007-2008, quando non era ancora papa, nonché i suoi testi e quelli di diverse conferenze episcopali). Scrive Francesco: “Ho voluto raccogliere in questa Enciclica molti di tali interventi collocandoli in un contesto più ampio di riflessione” (FT, 5). E il tema è la Fratellanza, quella che insegna Francesco d’Assisi, che “invita a un amore che va al di là delle barriere della geografia e dello spazio” (n.1).

Questa fratellanza è approfondita come un valore laico e, al tempo stesso, cristiano. È forse questo uno dei meriti più grandi di questa enciclica. La cultura cattolica e quella laica, nella storia sono state spesso gelose dei loro contenuti e dei traguardi sociali e politici, hanno costituito steccati e divisioni: pensiamo, per esempio, al clericalismo e all’anticlericalismo. È un papa che parla in punta di piedi, gentilmente, sa che il sentimento di fratellanza ha diverse origini culturali e storiche: “Possiamo cercare insieme la verità nel dialogo, nella conversazione pacata o nella discussione appassionata. È un cammino perseverante, fatto anche di silenzi e di sofferenze, capace di raccogliere con pazienza la vasta esperienza delle persone e dei popoli” (n. 50). Vanno gustate le pagine in cui la fratellanza è affrontata con ricchezza di contenuti antropologici, etici, culturali, sociali, storici e religiosi.

L’apertura e il dialogo con chi la pensa diversamente non mortificano l’approfondimento delle radici cristiane della fratellanza. Il Vescovo di Roma sceglie di commentare il brano evangelico del Buon Samaritano (insieme ad altri passi salienti sull’amore). Non può sfuggire come l’annunzio evangelico è sempre e strettamente legato al chiedere onestà ai cristiani nel confrontarsi con questo tema e coraggio nell’abbandonare teorie sociali e politiche anticristiane, cambiando mentalità. Forse questo brano andrebbe scritto in caratteri cubitali in tutte le parrocchie, diocesi, gruppi e ordini religiosi dove, diverse volte, l’essere cristiani si coniuga, senza scrupoli di coscienza, con posizioni razziste, demagogiche, nazionaliste e così via.

Francesco critica quei cristiani che non guardano e soccorrono i poveri (n. 73), che maltrattano e rifiutano i migranti, non accolgono i disabili e via discorrendo. “Ci sono – scrive Francesco – ancora coloro che ritengono di sentirsi incoraggiati o almeno autorizzati dalla loro fede a sostenere varie forme di nazionalismo chiuso e violento, atteggiamenti xenofobi, disprezzo e persino maltrattamenti verso coloro che sono diversi” (n. 86). È il tema della riforma ecclesiale che trova ambienti cattolici refrattari ad essa: alcuni cardinali, vescovi, preti, fedeli laici che continuano a dire che queste sono “fissazioni” del papa sudamericano. Ma è proprio così? Non è che le nostre Chiese, specie europee e nordamericane, si sono così imborghesite da pensare che è possibile essere cristiani e, al tempo stesso, razzisti nazionalisti, disprezzanti di poveri, vittime e migranti?

“La fede – continua il papa – con l’umanesimo che ispira, deve mantenere vivo un senso critico davanti a queste tendenze e aiutare a reagire rapidamente quando cominciano a insinuarsi. Perciò è importante che la catechesi e la predicazione includano in modo più diretto e chiaro il senso sociale dell’esistenza, la dimensione fraterna della spiritualità, la convinzione sull’inalienabile dignità di ogni persona e le motivazioni per amare e accogliere tutti” (n. 86).

Ma non ci sono solo richiami ad intra. Ci sono anche tentativi di riportare un dialogo su temi concreti che favoriscono e fanno crescere la fratellanza. Ne cito alcuni:

– Il lavoro: “Il grande tema è il lavoro. Ciò che è veramente popolare – perché promuove il bene del popolo – è assicurare a tutti la possibilità di far germogliare i semi che Dio ha posto in ciascuno, le sue capacità, la sua iniziativa, le sue forze” (n. 162).
– La funzione sociale della proprietà: “Il diritto alla proprietà privata si può considerare solo come un diritto naturale secondario e derivato dal principio della destinazione universale dei beni creati, e ciò ha conseguenze molto concrete, che devono riflettersi sul funzionamento della società” (n. 120).
– Globalismo e localismo autentici ed equilibrati: “Un rapporto sano tra l’amore alla patria e la partecipazione cordiale all’umanità intera” (n. 149).
– L’economia che crea scarti e ingiustizie: “Oggetto di scarto non sono solo il cibo o i beni superflui, ma spesso gli stessi esseri umani. Abbiamo visto quello che è successo agli anziani in alcuni luoghi del mondo a causa del coronavirus…” (n. 18).
– Una migliore politica: “Davanti a tante forme di politica meschine e tese all’interesse immediato, ricordo che ‘la grandezza politica si mostra quando, in momenti difficili, si opera sulla base di grandi principi e pensando al bene comune a lungo termine’” (n. 178).

Senza dimenticare altri temi fondamentali come: il dialogo e l’amicizia sociale; l’impegno per la pace; il ruolo delle religioni; l’uso corretto e costruttivo dei mezzi di comunicazione sociale.

Un’enciclica da gustare e meditare. Papa Francesco è ben conscio di come i richiami ai grandi Trattati, alle Dichiarazioni universali, ai principi etici, e finanche religiosi, sono spesso retorici e sterili, in quanto “la storia sta dando segni di un ritorno all’indietro. Si accendono conflitti anacronistici che si ritenevano superati, risorgono nazionalismi chiusi, esasperati, risentiti e aggressivi” (n. 11). Non è un invito al pessimismo, alla rassegnazione e alla depressione collettiva, è invece un tenero, gentile e forte invito “a recuperare la passione condivisa per una comunità di appartenenza e di solidarietà, alla quale destinare tempo, impegno e beni” (n. 36).

 

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